Da primo paese produttore a fanalino di coda. E’ stato questo, almeno fino ad oggi, il destino dell’Italia delle mandorle, che a cavallo tra le due guerre mondiali si collocava al primo posto in tale classifica e ora riesce a soddisfare solo il 2% della domanda interna. A sottolinearlo è un servizio pubblicato in questi giorni dal quotidiano economico “Il Sole 24Ore”, dove si evidenzia che, mentre la domanda a livello mondiale sta crescendo a ritmi altissimi, l’offerta nazionale è del tutto insufficiente. Con il risultato che anche le razzie nei mandorleti, soprattutto quelli pugliesi, sono diventate piuttosto frequenti.
Riccardo Calcagni, amministratore delegato di Besana, una delle aziende leader nel comparto della frutta secca, ha spiegato nel servizio citato: “Dagli Anni 50 questa coltivazione è stata via via abbandonata perché poco redditizia. Sono rimasti perlopiù piccoli produttori, con impianti obsoleti, che non hanno investito in tecnologie e rinnovo varietale”.
Tuttavia, l’Italia vanta un primato nell’innovazione dei prodotti a base di mandorla: da uno studio Innova, è emerso che, per il quinto anno consecutivo, anche nel 2019 questo frutto ha guidato la classifica dei nuovi prodotti, con il 40% su oltre 5.400 referenze. E il Belpaese detiene il primato nell’introduzione di novità a base di mandorla, con un 20% di quota, quando l’intera Unione Europea si ferma al 12%.
Tra le aziende d’eccellenza che in Italia stanno investendo sulla mandorla c’è la siciliana Damiano, i cui 50 milioni di euro di fatturato dipendono per l’80% proprio da questo frutto (fonte: Il Sole 24Ore). Proprio questa azienda punta ora a diventare il primo produttore di mandorle biologiche al mondo nel giro di poco più di un triennio, grazie anche all’iniezione di liquidità garantita dall’ingresso del fondo Progressio Investimenti III.
Intanto in California, il maggiore paese produttore a livello mondiale, continua la crescita della produzione e delle esportazioni. Secondo l’Almond board of California, lo scorso anno sono aumentati sia i consumi all’interno degli Stati Uniti (+4,5%), sia le esportazioni (+5%). “Questa crescita – commenta il consorzio – arriva nonostante l’attuale difficile contesto commerciale”.