“Nemmeno un euro del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) è stato ancora speso per la digitalizzazione dei porti“. E’ l’allarme lanciato ieri da Federlogistica durante il convegno organizzato a Genova da Logistic digital community, l’alleanza fra imprese e associazione costituita nell’ottobre del 2021.
Luigi Merlo, presidente di Federlogistica, ha dunque invitato istituzioni e stakeholder a “serrare le fila per rendere spendibili i 253 milioni assegnati al sistema portuale e logistico”. Il rischio, altrimenti, è perdere fondi utili al settore per modernizzarsi e per svoltare.
Una svolta che – è emerso dal convegno – deve basarsi su tre pilastri, e cioè il coordinamento, l’innovazione tecnologica e la formazione di nuove professionalità di cui il Paese è “drammaticamente privo”, per dirla con le parole di Federlogistica.
I vantaggi
La digitalizzazione dei porti, se attuata, avrebbe importanti ricadute positive – trasparenza, flessibilità, efficienza – sull’intero sistema logistico e sulla catena di approvvigionamento.
Aiuterebbe infatti a decongestionare le aree portuali, a ridurre il tempo di permanenza dei container nei porti e a razionalizzare le operazioni logistiche connesse ai flussi di merci e degli spazi a esse necessarie quali banchine, varchi container, varchi ferroviari. Senza contare le ricadute positive in termini di errori scongiurati e di sicurezza, soprattutto intesa come cyber security.
Inoltre, un porto smart e digital è un porto più intelligente in senso competitivo; le tecnologie digitali sono poi fondamentali per perseguire gli obiettivi di sostenibilità a cui è chiamata a rispondere tutta la supply chain.
Lo scenario in Italia
Il Logistic performance index della Banca Mondiale, indice che considera tempi e costi associati alla logistica, nel 2021 posizionava l’Italia al 19esimo posto nella classifica mondiale.
Ma, sempre nello stesso anno, se si analizzava il Port liner shipping connectivity index di Unctad, ossia l’indice che riflette la connessione di un porto alla rete logistica globale, il primo porto italiano, e cioè Genova, si trovava alla 31esima posizione, con un punteggio del 40% inferiore al primo porto europeo in classifica, Rotterdam.
Negli ultimi due anni, nei porti italiani, qualcosa è stato fatto in ordine alla digitalizzazione. Ma il margine di miglioramento è ancora enorme.
Cosa occorre fare
Durante il convegno di ieri sono emersi con chiarezza gli ambiti su cui investire: il primo riguarda la sicurezza. Occorre infatti procedere rapidamente nella definizione dei bandi per la cyber security nel sistema logistico e nei porti, che sono oggetto di attacchi. L’ultimo, in ordine cronologico, quello di venerdì scorso (9 giugno) da parte di pirati informatici russi.
Il secondo ambito di intervento riguarda la rapidità di esecuzione: occorre rendere spendibili i 253 milioni che il Pnrr assegna alla digitalizzazione del sistema portuale e logistico e dei quali non è stato ancora utilizzato neppure un centesimo, per evitare un ridimensionamento nella fase di ri-assegnazione dei fondi del Piano.
Infine occorre spingere molte Autorità di sistema portuale – specie nel Mezzogiorno – a dotarsi di sistemi informatici di Comunità portuale (Port community systems, Pcs). Questi ultimi rappresentano infatti la base indispensabile per pianificare e realizzare una piattaforma logistica nazionale che sia in grado di trovare nella digitalizzazione i metodi per incrementare l’efficienza del sistema logistico e portuale nazionale e per aumentare il livello di sicurezza.