L’ortofrutta dell’Emilia Romagna – messa a dura prova dall’eccezionale convergenza di fattori critici (dai parassiti alieni alle gelate, dalle trombe d’aria alla siccità) – non ci sta e si attiva per invertire la tendenza. Tendenza che, negli ultimi 15 anni, ha significato perdere oltre 19mila ettari, un’involuzione che ha subito un’accelerazione drammatica negli ultimi anni, con la peschicoltura che in 10 anni ha perso 15mila ettari, mentre le pere (che qui rappresentano il maggiore polo produttivo europeo) ne hanno persi seimila.
Così, oggi pomeriggio Cso Italy, per iniziativa del suo presidente Paolo Bruni, ha coinvolto le istituzioni regionali al massimo livello, il mondo della cooperazione ortofrutticola e le grandi aziende private in un concreto confronto, che si è concluso con una indicazione di massima: il rilancio partirà dalle pere, con un forte sviluppo dell’Igp, per poi arrivare alle altre produzioni regionali.
Un confronto serrato
“Non vogliamo parlare di problemi, quelli li conosciamo, ma di strategie” ha introdotto il presidente Bruni dando il tono al dibattito. Per Roberto Della Casa, “il settore deve passare dall’efficienza, ovvero dal rafforzamento degli elementi di carattere industriale che si possono dare per acquisti, all’efficacia, cioè ad operazioni rilevanti, in grado di orientare il mercato, operazioni con il carattere della distintività”.
E proprio la pera Igp dell’Emilia Romagna potrebbe essere il catalizzatore di un’operazione rilevante, che potrà tuttavia definirsi tale solo se in grado di “controllare una massa importante di prodotto lavorato”. E a un “grande progetto pera” si sono detti favorevoli, seppure con approcci differenti sia Davide Vernocchi, presidente di Apo Conerpo e coordinatore per l’ortofrutta di Aci, preoccupato dalla piega presa dalla politica europea (“bene il Green Deal ma va accompagnato da misure atte a garantire la redditività delle imprese”), sia Marco Salvi, presidente di Fruitimprese, che ha sottolineato come l’Igp “dovrebbe diventare il prodotto standard”, perché la concorrenza di Paesi come Olanda e Belgio si è fatta strada in Europa e si è persino aperta varchi nel nostro mercato.
Anche Luigi Mazzoni, dell’omonimo gruppo ferrarese, ha ribadito come “oggi l’Igp si può valorizzare” e che questa sfida per la pera “può essere affrontata”.
Servono alcune pre-condizioni per invertire il trend negativo, ha sostenuto da parte sua Ilenio Bastoni, direttore generale di Apofruit, a partire dalla competitività che passa da “sgravi contributivi sul costo del lavoro di almeno il 50%, in modo tale da ridurre i costi per ettaro e liquidare ai produttori l’8-10% in più”. “Se non si recupera redditività per le aziende agricole – ha precisato – non si ferma l’emorragia di ettari”.
Poi, condivendo il pensiero di Marco Salvi, ha aggiunto: “Sulla pera è già stato fatto tanto lavoro per un coordinamento, ciò non toglie che, avendo l’Igp acquisito un nuovo valore sul mercato, proprio dall’Igp si possa partire per puntare più in alto”.
La Regione c’è
Dal canto suo, l’assessore regionale all’Agricoltura Alessio Mammi ha sottolineato come al primo punto debba esserci il reddito e la competitività delle imprese, assicurando che sull’Igp Pera la Regione ci sarà.
“Dobbiamo intervenire prima che la curva di discesa non diventi una slavina, prima che la pera non abbia il declino della pesca. Investiamo sulla pera? Lo avete detto voi. Facciamo un progetto e presentiamolo anche a livello di governo. Portiamo la nostra pera in Cina”, queste le conclusioni del presiente della Regione, Stefano Bonaccini, che a fine settembre presenterà il Patto per il Lavoro e per il Clima. Il caposaldo della politica regionale per i prossimi anni.