Vale circa 1,6 miliardi di euro l’export del pomodoro trasformato italiano che assorbe il 60% della produzione. Sono alcuni dei dati diffusi da ANICAV, l’associazione nazionale Industriali Conserve Alimentari Vegetali che ha confrontato i dati relativi al 2016 rispetto a quelli del 2015.
La Germania è il paese che importa più prodotti dell’industria di trasformazione del pomodoro italiano: 400 mila tonnellate, una quota del 20% e un valore di oltre 285 miliardi di euro. Poi Regno Unito (15%), Francia (7,3%) e Stati Uniti (6%). In Italia, invece, rimangono circa 2 milioni di tonnellate.
“I mercati esteri rappresentano un’importante area di crescita per il nostro comparto, a testimonianza del fatto che, anche in periodi di crisi, i consumatori scelgono la qualità – dichiara nella nota il Presidente di ANICAV Antonio Ferraioli – In un settore export oriented come il nostro, le esportazioni riescono ancora a bilanciare la stagnazione dei consumi interni”.
Il prodotto più amato: i pomodori pelati
I pomodori pelati, sia interi che non, pur facendo registrare una riduzione a valore del 2,4% rispetto al 2015, continuano ad essere i prodotti più amati, forti dei quasi 1,3 milioni di tonnellate (+5,3%). Tra le aree emergenti che hanno fatto registrare un incremento delle importazioni di pelati l’Asia (+5,85%). Ma c’è anche chi, grazie alle barriere protezionistiche, ostacola l’export di questi prodotti: è il caso dell’Australia che l’anno scorso ha fatto registrare invece un calo sia a volume (5%) che a valore (9%). Anche la la passata continua a crescere in volume (+5,5%) pur mantenendo stabile il valore.
“È determinante per le nostre imprese presidiare e cercare di ampliare la presenza nei mercati esteri puntando su una forte azione di comunicazione e valorizzazione delle produzioni di qualità. – afferma il Direttore di ANICAV, Giovanni De Angelis -. Oggi più che mai è necessario spingere sulla promozione di quegli elementi che sono alla base delle nostre eccellenze: qualità, tradizione, genuinità, forte legame tra prodotto e territorio, in una parola tipicità. Ciò senza tralasciare la necessità di contrastare, sui mercati internazionali, il fenomeno dell’Italian sounding che danneggia i nostri prodotti e ci sottrae risorse economiche.”