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Susine Angeleno. Il “prunus” della discordia tra Italia e Brasile

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Un potenziale mercato come il Brasile per ora rimane precluso alle susine Angeleno coltivate in Italia. Il motivo? Una questione di etichetta

Il tema delle barriere fitosanitarie che vietano l’export di molti prodotti ortofrutticoli verso paesi terzi è noto e sempre attuale. Spesso capita sia in realtà un mezzo utilizzato per puri fini protezionistici nei confronti dei quali le autorità preposte cercano, con i mezzi a loro disposizione, di trovare una soluzione ma ottenendo risultati concreti non certo in breve tempo. Recentemente, per esempio, si è molto parlato di Canada e dello sblocco delle esportazioni di uva da tavola italiana (evitato anche quello di kiwi e susine) in questo Stato dopo oltre 6 anni di trattative.

Ma c’è un’altra vicenda, che questa volta riguarda il Brasile e ha risvolti quasi “fantozziani” viste le premesse e gli attuali sviluppi. Il frutto, o meglio, il “prunus” della discordia tra Italia e Brasile si chiama Angeleno: una susina tardiva, con epoca di commercializzazione tra i primi di settembre e la metà di dicembre, ma che si protrae anche sino a gennaio. Molto coltivata in Italia, la susina Angeleno vede la provincia di Ravenna il principale areale di produzione, quest’anno peraltro ulteriormente aumentata.

Ad oggi, così come da qualche anno, non è più possibile esportare questa susina in Brasile per una questione di “etichetta”. Il motivo del contendere, infatti, riguarda una descrizione botanica. Le susine Angeleno sono una varietà cino-giapponese classificata come “Prunus salicina, che si distingue da quella classica e comune europea, denominata, invece, “P. domestica.

«Attualmente è impossibile esportarla in Brasile con la dicitura “Prunus salicina” dato che questa specie non è al momento autorizzata, mentre se ci fosse scritto “domestica” non ci sarebbero problemi» ci dice Mauro Laghi, export manager dell’azienda Alegra, business unit di Apo Conerpo.

Il Brasile, potenzialmente, rappresenterebbe un’ottima opportunità per questo prodotto. «Sarebbe un mercato interessante perché noi siamo in contro-stagione rispetto alla loro produzione. Pur con tutte le difficoltà di natura economica presenti anche in Brasile, è un peccato non sfruttare questa opportunità perché in questo in paese stiamo già esportando mele e pere williams – continua Laghi -. I volumi non sono enormi, ma è un mercato grande che conosce il prodotto e quindi ci sarebbe spazio per noi». Spazio che al momento è occupato dalla Spagna che invece esporterebbe le susine in questione con la dicitura “P.domestica”. «Bisogna dire, comunque, che la Spagna occupa questo spazio anche per motivi logistici, avendo collegamenti marittimi migliori di noi con il Brasile. Però la Spagna termina la commercializzazione di queste susine prima di noi e quindi ci sarebbe in seguito spazio anche per noi» conclude Laghi.

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Ma di cosa si tratta esattamente? Di una “pignoleria” del nostro servizio fitosanitario nel non voler cambiare nome? Non è proprio così, in realtà, ci spiega Franco Finelli, del Servizio Sanitario della Regione Emilia Romagna che si occupa di “Pianificazione dei controlli fitosanitari in relazione alle normative internazionali”  e che ci ha illustrato una vicenda dai tratti, come lui stesso ammette, in parte “paradossali”.

Bisogna tornare indietro al 2005. «In quell’anno il Brasile ha comunicato che, a seguito delle nuove normative internazionali sul commercio dei prodotti vegetali, avrebbe accettato con i vecchi requisiti solo materiale precedentemente inviato in Brasile senza bisogno di fare ulteriori analisi per quanto riguarda il rischio sanitario. Questo per garantire che quanto veniva richiesto dal paese importatore non fosse un’invenzione protezionistica ma realmente basato su dati reali» spiega Finelli.

Fini qui, nulla di strano. Il problema è che fino ad allora l’Italia aveva esportato susine Angeleno in Brasile con certificati, emessi sino a quel momento da ispettori dell’ICE, con la dicitura errata di “Prunus domestica” e non quella corretta di “Prunus salicina. Il motivo? «I nomi delle specie possono cambiare facilmente e, senza adeguata formazione, può succedere che si utilizzino vecchie o sbagliate denominazioni” ci dice Finelli. Da quando l’emissione dei certificati è passata al Servizio Fitoanitario si è cominciato ad usare la giusta terminologia, «anche perché ormai è facile verificare la corretta descrizione su Internet. Avremmo, inoltre, fatto una dichiarazione non corretta se avessimo continuato a scrivere Prunus domestica e i colleghi brasiliani avrebbero potuto contestarci la correttezza del nostro operato».

In ogni caso, sino a circa quattro anni fa non è stato sollevato nessun problema. «Poi, poiché in Brasile esiste un permesso di importazione di tipo commerciale rilasciato dal ministero, è successo che agli importatori brasiliani che richiedevano questo permesso è stato detto che non era possibile ottenerlo per Prunus salicina perché questa specie non risulta autorizzata, anche se i problemi fitosanitari sono esattamente gli stessi e dai loro controlli in import non è mai stato intercettato niente. Quando Il Servizio fitosanitario italiano ha contattato i colleghi brasiliani per chiedere loro spiegazioni, gli è stato detto che se ci fosse stato un certificato antecedente il 2005 con scritto Prunus salicina il problema sarebbe stato risolto». Purtroppo, al momento non è stato trovato alcun certificato antecedente a quell’anno con la dicitura “Prunus salicina”.  Anche perché probabilmente in passato, come ha descritto Finelli, è sempre stata utilizzata erroneamente la denominazione “P. domestica”.

Come se ne esce? «Due anni fa Il nostro Servizio ha predisposto un documento che si chiama “Pest Risk Analysis”, che è stato inviato prima a Roma e poi in Brasile e che documenta che non ci sono differenze tra Prunus domestica e P. salicina circa gli organismi nocivi che attaccano entrambi». Sino ad ora, però, i brasiliani non hanno risposto. «È una situazione paradossale» conclude Finelli.

Nell’attesa che qualcosa si sblocchi, non resta che spulciare tra le vecchie carte alla ricerca di un vecchio certificato antecedente il 2005 che magari, per sbaglio, riporti “Prunus salicina”.

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