Della Plastic Tax, ossia del provvedimento – o, meglio, della tassa – con cui il Governo ha dichiarato guerra alla plastica se ne parla da novembre: forse è giunto il momento di tirare le somme di quello che è stato un acceso dibattito. Sì, perché la Plastic Tax andrà a colpire gli imballaggi e le confezioni del controverso materiale, con evidenti ricadute economiche su consumatori e produttori. Il che, naturalmente, ha destato non poco mal contento. Prima però di ripercorrere i tratti salienti e le tappe decisive di questo lungo travaglio, partiamo dalle battute finali: la Commissione Bilancio del Senato ha approvato la Plastic Tax con l’impostazione che segue. In pratica, l’imposta entrerà in vigore da luglio e sarà pari a 45 centesimi al chilogrammo (non più 50 come era stato detto). La novità rispetto a quanto detto in un primo momento è che interesserà anche il tetrapak. Il che, quindi, non sposta il gettito previsto di 150 milioni nel 2020. In altre parole, con l’introduzione del tetrapak si va a bilanciare la riduzione di 5 centesimi al chilogrammo. Dalla Plastic Tax sono esclusi i prodotti in plastica riciclata e i prodotti composti da più materiali che abbiano una componente di plastica inferiore al 40%.
In principio era 1 Euro
Nonostante la Plastic Tax continui a non piacere agli operatori, va detto che la versione approvata dalla commissione Bilancio del Senato è una versione light. Inizialmente si era infatti parlato di un’imposta che il Governo avrebbe introdotto dal primo aprile 2020 (e non da luglio 2020), che sarebbe consistita nel prelievo di 1 euro per ogni chilogrammo di plastica dei manufatti monouso. Il provvedimento – che anche nella ultima versione va a gravare sui produttori – nella sua versione iniziale avrebbe dovuto garantire entrate pari a 1,1 miliardi di euro nel 2020, per poi aumentare gradualmente, fino a raggiungere quota 2,2 miliardi negli anni successivi. Da quando, a inizio novembre, il disegno di legge di bilancio ha iniziato il suo iter parlamentare non sono mai cessate le polemiche anche perché, se è vero che l’intento dovrebbe essere quello di scongiurare l’uso massivo della plastica, il timore è che la plastic tax sia stata concepita non tanto per generare una reale riduzione della plastica, ma per fare cassa. In pratica, a guidare la messa a punto del provvedimento sembra essere il principio di economia ambientale “Chi inquina paga”, più volte messo in discussione dagli economisti stessi. Ma è davvero così?
In Europa la plastica è tassata un po’ ovunque
In Belgio sono 3,6 euro al chilo per le posate usa e getta di plastica e 3 euro al chilo per i sacchetti di plastica monouso. In Francia, sempre per i sacchetti, sono 10 euro al chilo. In Irlanda si arriva a 22 centesimi, in Portogallo a otto (a cui va aggiunta l’Iva). Nel Regno Unito nel 2018 è stata proposta la plastic packaging tax, che dovrebbe entrare in vigore nell’aprile 2022. In Danimarca i prodotti da imballaggio sono tassati un euro al chilo se contengono plastica riciclata, oltre 1,70 euro per quelli con plastica non riciclata. Sempre in Danimarca sono tassati (a 2,7 Euro al chilo) il polistirene espanso sinterizzato (Eps) e il cloruro di polivinile (Pvc). In Polonia è in vigore una tassa specifica per lo smaltimento in discarica di rifiuti di plastica raccolti in modo selettivo.
La parola agli stakeholder
Durissimo Cosimo Damiano De Benedittis, direttore di Conip, il quale sostiene che la plastica non si elimina con le tasse, ma facendo un’accurata prevenzione, educazione civica nelle scuole, nonché attività che coinvolgano consorzi e cittadini. In altre parole, diffondendo cultura, responsabilità sociale e comportamenti virtuosi. «Applicare una tassa sugli imballaggi in plastica prodotti con materiali riciclati e riciclabili al 100% – ha commentato – e, al contempo, incentivare e promuovere l’applicazione dei principi dell’economia circolare rappresenta una contraddizione assoluta. I sistemi virtuosi, anziché tassati andrebbero sostenuti e incentivati dal Governo». Dello stesso avviso Monica Artosi, Direttore Generale di CPR System, che ha commentato: «L’inquinamento ambientale si riduce quando diminuiscono i rifiuti, di qualsiasi materiale siano, secondo la regola delle cinque “R”: Riduzione, Riuso, Riciclo, Raccolta, Recupero». «Il dibattito acceso sulle plastiche e le nuove normative UE che vietano il mono uso conferma, se mai ce ne fosse bisogno, che occorre promuovere e sostenere il riutilizzo. Non sono tanto le 310 milioni di tonnellate di plastica prodotta che preoccupano, quanto gli 8 milioni di tonnellate di plastica che ogni anno finiscono negli oceani come attestano i Proceeding of National Accademy of Science». Artosi ha dunque ricordato che CPR nasce proprio per evitare l’emissione di rifiuti nell’ambiente e pertanto propone e promuove un modello circolare. Nel merito, le casse dedicate all’ortofrutta sono realizzate con il 50% di granuli di plastica vergine e il restante 50% con granuli di plastica riutilizzata. «L’intero processo di produzione e gestione delle casse – ha concluso – ottimizza l’impronta di carbonio, riduce il consumo di risorse naturali, abbatte le emissioni di carburante, limita i rifiuti. Un circolo virtuoso sempre più efficiente e conveniente per i nostri soci e clienti. Sarebbe molto importante orientare la discussione attuale che demonizza la plastica su una visione più strategica creando sistemi virtuosi di riutilizzo prendendo spunto proprio dal modello di successo di CPR System».