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Geoplant Vivai torna su crisi export e manodopera

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Autore Redazione

Lucilla Danesi e Gianluca Pasi: “Fragole mercato più a rischio in aprile, maggio e giugno per importanti momenti di consegna”

Lucilla Danesi e Gianluca Pasi, soci e responsabili commerciali di Geoplant Vivai, azienda vivaistica ravennate, commentano le ripercussioni del Covid19 su tutto il comparto agricolo invitando associazioni di categoria e amministrazioni a un’immediata presa di posizione.

“Se da qui a poche settimane la situazione non si risolve e non si percepisce che si possa risolvere sarà un problema per tutta l’esportazione agroalimentare”. A parlare è Lucilla Danesi, responsabile commerciale fragola dell’azienda vivaistica Geoplant Vivai, alle prese con i contraccolpi del Covid-19 e dell’emergenza sanitaria che sta paralizzando Italia e non solo. L’azienda ravennate, specializzata nella coltivazione di piante da frutto e di fragola, sta registrando insieme a tutte le realtà agricole del Paese, una grave situazione di stallo che vede la drammatica difficoltà di esportare i propri prodotti oltre confine“.

Negli ultimi 15 giorni, prima che le autorità decretassero tutta una serie di provvedimenti e stop agli spostamenti, abbiamo fatto sforzi enormi per esportare le nostre piante consegnando tutto quello che potevamo consegnare ai nostri mercati esteri: Austria, Slovenia, Ungheria e Romania – commenta Gianluca Pasi, responsabile estero delle piante da frutto -. I prossimi mesi però si preannunciano densi di incognite, difficoltà e ovviamente perdite economiche, soprattutto alla luce della recente notizia dell’annunciata chiusura dell’area Schengen da parte dell’Unione europea. Al momento il mercato più in bilico è quello delle piante di fragola che ha in aprile, maggio e giugno momenti di consegna importanti”.

“Quando tra due settimane dovrò consegnare le piante di fragola in marcati extra-Ue quali Kazakistan, in Russia, in Serbia, così come in paesi comunitari che stanno imponendo forti restrizioni al confine come Ungheria e Austria, cosa farò? – si domanda Lucilla Danesi– Il prodotto è già nelle celle frigo stivato, pronto per essere commercializzato e non dimentichiamoci che si tratta di merce deperibile. Quello che non consegno quest’anno, non lo posso tenere per le vendite del prossimo. È dunque innegabile che da qui a giugno il problema della logistica diventerà il problema per tutto l’agroalimentare, settore vivaistico compreso”.

A questo quadro già allarmante, Geoplant Vivai aggiunge un’altra preoccupazione fondata: il rischio che le barriere sanitarie che tutti i paesi d’Europa stanno ergendo si trasformino, nel lungo periodo, in barriere protezionistiche. L’emergenza Covid-19 è prioritaria, ma non potrà diventare nei successivi mesi un’occasione per danneggiare l’export in violazione di regole ben precise che regolano il mercato Ue. “Questo rischio va vigilato e tenuto in considerazione”, sottolineano Danesi e Pasi, invitando le amministrazioni locali, statali e le associazioni di categoria a farsi portavoce del problema in sede europea.

Ma il fermo dell’export non è l’unico elemento ad agitare il settore. Nelle prossime settimane quando riprenderà la raccolta nei campi, tutti gli agricoltori d’Italia dovranno fare i conti con un altro ostacolo: la mancanza di operai. Secondo i dati di alcune associazioni di categoria sono 370mila i braccianti regolari che ogni anno raggiungono, in questo periodo, le campagne italiane dall’estero (Est Europa e Nord Africa) e che attualmente sono rimasti nel loro paese un po’ a causa della chiusura delle frontiere un po’ per il forte timore del virus. Senza un intervento immediato la chiusura dei confini alle persone, si ripercuoterà disastrosamente mettendo a rischio più di un quarto del made in Italy che ogni anno arriva sulle nostre tavole grazie alla raccolta per mano di rumeni, marocchini, indiani, albanesi, senegalesi, polacchi, tunisini, bulgari, macedoni e pakistani.

“Se è vero che questa situazione porterà l’agricoltura a cercare soluzioni più smart e tecnologiche rispetto al passato, è anche vero – conclude Pasi – che nel nostro mondo quei processi di meccanizzazione che in altri settori stanno garantendo la continuità del lavoro, sono al momento impossibili da attuare, considerando che l’85% delle lavorazioni viene realizzata dall’uomo”.

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