Frutta a guscio ed essiccata

Castagne: così è stato possibile salvare una stagione

Mauro Pompei, presidente di Cooperativa Velinia, commenta l’ultima campagna e illustra il grande lavoro fatto a livello commerciale

La società cooperativa Velinia di Borgo Velino (Rieti) rappresenta non solo un’importante realtà imprenditoriale, ma anche un fondamentale presidio per lo stesso territorio in cui si trova. Specializzata nella produzione e (da un paio d’anni) anche nella lavorazione delle castagne, ha ampi margini di crescita, oltre che una preziosa eredità da portare avanti. Alla vigilia del suo primo mezzo secolo di vita (è stata fondata nel 1975), myfruit.it ha interpellato Mauro Pompei, da quattro anni presidente della cooperativa e molto determinato a costruirne il suo futuro.

Pompei, innanzitutto come giudica la campagna castanicola 2022?

Per quanto ci riguarda, siamo soddisfatti. E’ stata una stagione molto impegnativa per diversi fattori e non è stato facile spuntare prezzi buoni per i soci. A conti fatti, dunque, e guardando a quello che ad esempio è accaduto in Campania, possiamo appunto dichiararci contenti. Pure con il problema della siccità estiva è andata bene: se è vero che non ha piovuto per mesi, è altrettanto vero che la pioggia è arrivata in un momento, a settembre, che ci ha consentito di non soffrire del marciume bruno, una piaga che ha colpito pesantemente altrove. Insomma, siamo stati fortunati.

Può entrare nei dettagli?

Tenuto presente che il core business della nostra cooperativa è appunto il Marrone Antrodocano, nel 2022 abbiamo avuto una produzione di 2.172 quintali, rispetto ai 950 quintali del 2021 e ai 1600 quintali del 2020. Ciò ha significato quindi una produzione più che raddoppiata rispetto all’anno precedente e che abbiamo saputo gestire in modo soddisfacente per i soci: rispetto ai 4,10 euro il chilo del 2021, sono stati riconosciuti per l’ultima campagna 3,55 euro il chilo. Insomma, a fronte di una sovrapproduzione generalizzata che ha abbassato i prezzi, ci siamo difesi. Altrove, purtroppo, non è stato così.

Come avete fatto a muovervi bene in un mercato così difficile?

Abbiamo variato la nostra strategia, implementando per la verità quello che abbiamo intrapreso a fare già da tre anni. Non puntiamo più, infatti, a fornire soltanto grossisti, ma anche a proporci direttamente al dettaglio, battendo praticamente a tappeto tutta la nostra zona. E’ senz’altro un lavoro impegnativo, ma che sta pagando. Basti pensare che nell’anno d’esordio abbiamo stretto contratti con 12 punti vendita, nel 2021 siamo saliti a 48 e l’anno scorso siamo arrivati a 70. Si salta così un passaggio della filiera e cambia anche il prezzo: al grossista si vende a 3,5 euro il chilo, al dettaglio si piò arrivare anche a 7 euro il chilo. Una strategia simile, peraltro, la stiamo mettendo in atto anche con la nostra base sociale.

Cioè?

Abbiamo attualmente circa 500 soci. Quest’anno, per quanto riguarda i marroni, hanno conferito il prodotto in poco più di 150, rispetto al solito centinaio. Questo è successo, appunto, per la grande produzione. Ma il nostro intento è di continuare a crescere. Vogliamo in particolare contrastare il fenomeno dell’abbandono dei boschi e dell’agricoltura, una piaga che è diventata endemica dal Secondo Dopoguerra e acuta dagli Anni Settanta del secolo scorso, sulla spinta del pubblico impiego. Per cui, stiamo mettendo in atto anche un’azione capillare di contatti con eredi e seconde o terze generazioni, per non disperdere il grande patrimonio della cooperativa e assicurarle un futuro.

Intravede quindi nella società cooperativa Velinia un ruolo di presidio del territorio?

Indubbiamente. E’ una sfida che dobbiamo senz’altro affrontare, per il bene delle nuove generazioni. Io ho 63 anni, non è un segreto che non voglio fare il presidente ancora per molto, ma prima di lasciare mi piacerebbe passare il testimone di una realtà in salute. Mi spiego: siamo eredi di una situazione, come era l’Italia degli Anni Venti e Trenta, in cui il nostro Paese era il più grande produttore al mondo di castagne. Oggi siamo in quarta posizione e la tendenza è tutt’altro che rosea. Il frazionamento fondiario e il cambio generazionale hanno portato l’appezzamento castanicolo medio italiano a una superficie inferiore all’ettaro. Nello stesso nostro areale, avremmo un potenziale di produzione di 1.300 ettari, ma effettivamente gestiti sono circa un 10%. Occorre quindi cercate di fermare questo trend, ovviamente auspicando un sostegno con strumenti messi a disposizione dal Governo e dall’Unione Europea, a partire dai piani di sviluppo rurale.

C’è la possibilità di provare davvero a invertire questa tendenza?

Le premesse non mancano. Consideriamo infatti che il recupero dei boschi di castagne, in natura, rimane il più veloce da applicare. Con altre tipologie di bosco, il processo diventa invece molto più lungo e dispendioso.

Per dare un futuro alla cooperativa ha adottato altre azioni recentemente?

Sì. Da un paio d’anni, ci siamo dotati di un impianto di trasformazione, per valorizzare ulteriormente la nostra materia prima e declinarla non solo in farina, ma anche in diversi prodotti finiti. Abbiamo già iniziato a lavorare in questo senso, ma ovviamente i margini di crescita sono ancora molto ampi. In ogni caso, anche questo progetto va nella direzione della politica che stiamo adottando da alcuni anni.

Quale politica?

Fare aggregazione. Dobbiamo presentarci sul mercato come una realtà forte e in grado di soddisfare le esigenze del mercato. Un singolo, del resto, non ha solitamente la possibilità di disporre di certe attrezzature, che devono essere in comune. Detta in altri termini: l’idea della collettivizzazione dei mezzi di produzione non me la sono inventata io e non sono nemmeno un comunista; tuttavia, se non mettiamo insieme le nostre piccole realtà, non andremo mai da nessuna parte.

Che messaggio vuole lanciare alle nuove generazioni dopo la sua gestione?

Il lascito di questa transizione gestionale iniziata nel 2019, assumendosi il carico dell’eredità lasciata dal flagello del cinipide, dovrà necessariamente essere ripreso da esponenti di una generazione più giovane che deve assumere responsabilità ed esercitarle crescendo assieme a queste, oltre che portare la castanicoltura a una fase più matura, ma supportata dall’esperienza di chi l’ha preceduta.

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