Se c’è un aspetto che l’emergenza sanitaria ha insegnato, soprattutto a chi opera nel settore dell’ortofrutta, è che tutto evolve molto rapidamente. E’ pertanto necessario avere un’ottima predisposizione a sapere metabolizzare il cambiamento, “che va di pari passo con la sensibilità del consumatore. Rispetto a situazioni a lui sconosciute, spesso si muove irrazionalmente”.
È il pensiero di Giovanni Sansone, responsabile acquisti ortofrutta di Dimar, realtà piemontese del Gruppo Selex, presente anche in Liguria, con un totale di circa 100 punti di vendita.
“La gente non si sta ancora rendendo conto di cosa sia successo e il comportamento della sua spesa lo certifica”, continua Sansone. “La diminuzione della frequentazione dei punti di vendita e l’aumento della spesa media, fenomeno iniziato con l’emergenza sanitaria, stentano a terminare. Inoltre, sono evidenti comportamenti quasi in antitesi: è aumentato l’e-commerce e l’utilizzo di nuovi e vecchi player arrivati nell’alimentare, da Amazon a Gorillas. Ma, allo stesso tempo, la pandemia ha come aumentato l’ostilità contro i simboli della globalizzazione ed è cresciuta la spasmodica ricerca di prodotti locali e di stagione. E questo è un comportamento che non dobbiamo sottovalutare.”
Chi paga l’inflazione?
Il tema del momento, a proposito di novità da affrontare velocemente, in questo inizio di 2022 non può che essere quello dell’inflazione e il conseguente aumento dei prezzi. “La nuova partita da giocare è: quanta marginalità bisogna investire per rimanere sul mercato e non perdere quote, considerando che non è possibile trasferire tutta l’inflazione direttamente sul consumatore? Molte aziende si stanno chiedendo questo e non era mai successo in passato”.
In Dimar, afferma Sansone, la marginalità del reparto ortofrutta per ora è salva, tanto che a gennaio i dati sono stati positivi non solo a valore, ma anche a volume. Ma come è stato possibile trasferire inflazione al consumatore senza perdere volumi in ortofrutta? “Siamo riusciti nel tempo a creare una fedeltà nei confronti della nostra insegna che ci permette di differenziarci. Sembra semplice, ma non lo è, ed è frutto di tante microattività quotidiane che facciamo per evolverci, mantenendo i nostri punti di forza”.
Come, ad esempio, fornire prodotti ad alto contenuto di servizio. “Migliore qualità e migliori confezioni. Se vogliamo creare un’inflazione sana che abbia valore intrinseco sul prodotto dobbiamo interpretare il prodotto a tutto tondo, prendendo in considerazione qualità, pezzatura e packaging”.
Confezioni? Sì, ma ad alto contenuto di servizio
A proposito di packaging e del tema della sostenibilità ad esso collegato, molto è cambiato dallo scoppio dell’emergenza sanitaria. “Il confezionato, come sappiamo, è cresciuto molto velocemente e in modo anche disordinato”. La plastica, il grande nemico prima dell’inizio della pandemia, ha riconquistato diverse posizioni. “Ora stiamo lentamente tornando alla normalità, ma la quota di confezionato è rimasta maggioritaria. Però ora c’è l’aggravio di costi e oggi il consumatore non è più disposto a spendere di più, tanto che qualcuno vorrebbe tornare allo sfuso. Noi proviamo a puntare su confezioni ad alto contenuto di servizio e più funzionali ai nuovi nuclei famigliari, che uniscono plastica e carta. Il PLA è stato quasi dimenticato per i costi elevati e puntare solo sulla carta è molto pericoloso visto l’aumento dei costi della cellulosa”.
È il momento in cui la vera partnership ha un peso
Mancano i bancali, mancano i container, i dazi sono aumentati così come il prezzo dei trasporti anche per colpa di quello dei carburanti. Chi produceva in idroponica ha i costi alle stelle a causa dell’aumento del prezzo dell’energia, la pacciamatura e i fertilizzanti sono aumentati e via discorrendo. L’elenco degli aumenti che stanno flagellando il settore sembra quasi infinito. “In questa situazione fare scelte nette è impossibile. Siamo in una fase di studio. Noi abbiamo dato la massima collaborazione ai nostri fornitori, garantendo continuità. Abbiamo sospeso i prezzi fissi per le campagne, perché mettevano in difficoltà le aziende. Siamo sempre disponibili al confronto. Non abbiamo mai fatto muro contro muro, tanto meno oggi. Ora si capisce veramente se c’è un vera partnership con i propri fornitori”.
Una battaglia valoriale: italianità e localismo pagano
Pensare di affrontare questo delicato periodo mostrando ai consumatori solo un’idea di convenienza è molto pericoloso, soprattutto in un reparto dinamico come l’ortofrutta. Anzi, il rischio è di mettere poi in moto un effetto boomerang. “Non si può far credere che tutta questa inflazione non esista. Nell’ortofrutta e nel fresco bisogna continuare a ribadire i valori di distintività della propria insegna”.
Quali? “Qualità e sicurezza sono valori che do per scontati, ogni insegna se li è già dovuti costruire da tempo. Nel nostro caso stiamo puntando molto sull’italianità. Noi in questo momento di difficoltà proponiamo prodotti italiani non solo perché più buoni, ma perché così difendiamo le aziende italiane. E questo vale anche per gli importatori, che sono anch’esse aziende italiane”. Un tema, quello dell’italianità, che secondo Sansone paga, se però lo si mette realmente in pratica. “Per noi è un vero punto di forza: e legato a questo concetto c’è quello dei prodotti Dop, Igp e locali. Perché il nostro fornitore è anche un nostro cliente: in questo modo mettiamo in piedi un vera economia circolare”.