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Logistica, tecnologia e innovazione. Un rompicapo per l’ortofrutta

Materie prime e trasporti aumentano, ma non è possibile disinvestire da innovazione e sostenibilità. Come fare? Il confronto a Mytech

Da un lato c’è quella che sta assumendo sempre più i connotati di una vera e propria tempesta perfetta, che vede interconnessi logistica e aumento dei prezzi delle materie prime e dei trasporti. Dall’altro lato, il tema della sostenibilità, tirato per la giacchetta da un po’ tutti, ma che spesso manca di fondamenti e diventa esso stesso quasi insostenibile. Infine, c’è l’esigenza di continuare a tenere viva la fiammella dell’innovazione, che però, gioco forza, deve fare i conti con i due temi precedenti. 

Insomma, il delicato e fondamentale mondo delle tecnologie e dei servizi, che nel campo agroalimentare in generale, e ortofrutticolo in particolare, ha un ruolo spesso nascosto al grande pubblico, ma dirimente per tutta la filiera, sta incontrando in questa seconda fase dell’era pandemica non pochi ostacoli, e non di così facile soluzione.  

Sono alcuni dei tanti spunti emersi durante l’incontro dal titolo “Mytech: che futuro è? Produzione e tecnologie a confronto”, organizzato da myfruit.it e moderato dalla direttrice Raffaella Quadretti, durante la giornata inaugurale dell’ultima edizione di Macfrut a Rimini al quale hanno partecipato attori di primo piano della filiera produttiva, tecnologica, del mondo degli imballaggi e della logistica.

Logistica e trasporti. Cosa sta succedendo?

“Il mondo è stato sconquassato. I costi dei container sono aumentati a dismisura ed è diventato difficile reperire imballaggi”, ha spiegato Marco Rivoira, a capo dell’omonimo gruppo che esporta fuori dal continente europeo circa il 60% dei suoi prodotti. “Ci troviamo quindi a iniziare la campagna in una fase molto complicata, con aumenti tra il 10/20% dei costi delle confezioni e anche dei costi logistici che, al momento attuale, non si sa quando finiranno”.

Problemi, quelli descritti da Rivoira che hanno messo d’accordo tutti i protagonisti dell’incontro e ai quali ha cercato di dare una risposta, purtroppo non una soluzione, Massimo Delpozzo (Nord Ovest), realtà leader nelle spedizioni via area, terra e mare. “Da questa situazione abbiamo imparato che tutto è interconnesso e lo è anche la logistica a livello mondiale”, ha detto il manager. Le spedizioni aeree, che avvengono sfruttando i voli dei passeggeri sono diminuite drasticamente e quindi lo spazio nelle stive delle navi non è più bastato.
“A questo bisogna aggiungere la chiusura improvvisa di alcuni porti fondamentali nelle tratte a livello mondiale a causa della pandemia e per questioni legate alla quarantena, alterando i viaggi delle navi che seguono invece calendari precisi”.

Ci sono alcune destinazioni che sono schizzate in alto: Medio Oriente +37%; Brasile +80/120%, Canada +70-120%, Egitto +24%, Usa +34%, Singapore +100%. Perché?
“Dietro c’è sicuramente un meccanismo governato da pochi che speculano e che cercano di massimizzare il profitto. Oggi alle compagnie marittime conviene di più portare i container vuoti in Cina perché, appena scendono, sono immediatamente disponibili per il flusso import che deve tornare indietro. La catena logistica in questo momento è fortemente sotto pressione”. 

Il packaging sostenibile e la transizione ecologica

Una situazione, quella legata ai trasporti e alla logistica, di fatto insostenibile dal punto di vista economico e che ha delle ripercussioni proprio sul tema della sostenibilità in generale, al centro del dibattito dell’opinione pubblica ormai da anni. “La sostenibilità ambientale non è aiutata da programmi che potrebbero essere strutturati dalle istituzioni a partire dalla Comunità Europea”, ha commentato Massimiliano Persico (Carton Pack). Il packaging del futuro? “Parola d’ordine: riciclo. Noi trattiamo tutto, plastica e carta, bisogna investire in packaging che utilizzino materie prime riciclate. È un percorso virtuoso che fa del bene”.

Per uscire dal nodo dei prezzi del packaging, secondo Nicola Ballini (Ilip) bisogna “concentrarsi sull’ottimizzazione dei costi fornendo soluzioni che aumentino la shelf life e la lotta allo spreco”. Un tema, quest’ultimo, che secondo Ballini andrebbe affrontato meglio e con più costanza e al quale il giusto packaging può fornire soluzioni vincenti.

“Il consumatore non vuole pagare la transizione ecologica”, ha affermato Vincenzo Falconi (Italia Ortofrutta) senza troppi giri di parole. “Questo è il quadro che vediamo noi. Il settore sembra schizofrenico: vogliamo attribuire a un settore primario come l’ortofrutta l’onere della sostenibilità senza però dargli valore. Manca una politica di condivisione. Per noi la sostenibilità va declinata soprattutto come sostenibilità economica. Mi chiedo se driver che portano avanti queste politiche siano altri. Se il consumatore non è disposto a pagare la sostenibilità c’è, qualcosa che non quadra”.

Chi paga la vitale necessità di innovazione?

Uno scenario complicato, dove continuare a investire in innovazione diventa sempre più difficile, sebbene necessario. “Il nostro percepito è che le aziende di questo settore stiano cambiando e che ci sia maggior interesse nell’investimento in nuove tecnologie”, ha osservato Alessandro Olivato (Ziehl-Abegg). “Ci sono molte realtà che vengono da noi chiedendo innovazione perché vogliono rinnovare tecnologie obsolete. In questo periodo stiamo portando avanti molti progetti che consentono di avere alta efficienza, maggiore anche del 30% e che garantisce prodotti che maturano in modo omogeneo e perfettamente”.

Se d’altronde l’ortofrutta vuole acquisire maggior valore e non essere considerata solo un prodotto povero, non può derogare dalla tecnologia, che può consentire un vero cambio di passo. Ma cosa manca per farlo? “Il miglioramento del prodotto lavorato e l’innovazione tecnologica vanno insieme”, ha spiegato Christian Lotti (Aweta). “Il kiwi giallo è ottimo perché ci sono le macchine adatte. A livello internazionale l’avocado è un prodotto che è esploso grazie all’arrivo del ready-to-eat che garantisce margini, ma servono i macchinari lavorarlo. Da una parte, quindi, bisogna credere nella tecnologia, ma dall’altra bisogna credere anche in prodotti di qualità che partono già da standard elevati”. 

Il prezzo? Non può essere l’unica leva

Insomma, se nessuno mette in discussione il ruolo dell’innovazione, il peso del suo costo non è però così facile da gestire. “È difficile oggi investire in tecnologia, non c’è più il margine per farlo in realtà”, ha commentato ancora Rivoira, che si è autodefinito “malato di tecnologia, tanto ossessionato da avere investito anche durante la pandemia”.

Ma c’è un problema. “Chi decide il prezzo è l’unico responsabile”. Quindi la Gdo. “Io cerco sempre di fare un discorso costruttivo con loro. Ma se il produttore non ha il giusto margine, non può innovare in tecnologia. E, se non lo fa, il consumo si ferma perché si mangeranno sempre gli stessi prodotti, magari anche più cattivi di prima. Per i prodotti premium ci vogliono tecnologie migliori, a quel punto il consumatore è disposto a spendere in più. La politica del prezzo non costruisce valore per nessuno, neanche per il consumatore”, ha chiosato.

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