Le pere italiane non superano i confini europei. Anche nel 2018/2019 il 92% è stato venduto all’interno del perimetro comunitario dove però aumenta la concorrenza interna. Poco o niente nei Paesi Terzi dove sono ben solidi i muri del protezionismo, ma i belgi da Futurpera avvertono: “In Cina ci siamo da 10 anni ma non abbiamo venduto tanto”. Si spera, visto che piace tanto, nella dolcezza di quella italiana.
Si è parlato di export, naturalmente, a Futurpera nella seconda parte del World Pear Forum durante la seconda giornata di della fiera ferrarese. Solo l’1% delle pere italiane vola in America Latina, stessa percentuale in Medio Oriente e l’Africa non supera il 3% mentre in Canada si esportano poche centinaia di tonnellate. Fuori dai confini europei, insomma, si vende poco.
Tutti guardano alla Cina, ma…
Ci sono ancora tante porte sbarrate, a causa della solite barriere fitosanitarie, dal Messico al Vietnam e si attende il via libera dalla Cina. Il gigante asiatico però è il primo produttore al mondo e il belga Marc Evrard di BFV (Belgian Fruit Valley) avverte: “Noi ci siamo da 10 anni e non abbiamo venduto tutti questi gran quantitativi. È un mercato che vale pochi milioni di euro”. E non è una buona notizia per l’Italia, visto che il Belgio, dopo l’embargo russo, non trovando altri sbocchi si è concentrato soprattutto sul mercato comunitario.
La conferma arriva dai numeri del rapporto CSO Italy presentato da Simona Rubbi: “Prima del 2014 il Belgio esportava extra-Ue 140.000 tonnellate (il 47% del totale) dopo l’embargo l’8% (meno di 30.000 tonnellate)”. E lo stesso discorso vale per l’Olanda: “le esportazioni extra-UE erano di circa 70.000 tonnellate (20% del totale), dopo l’embargo sono scese al 10%. Il risultato? Un mercato europeo saturo che cerca nuovi sbocchi.
Marco Salvi (Fruitimprese): “In Cina si vince con la dolcezza e ci sarebbe il Messico da conquistare”
La spinta dell’export è frenata e per Simona Rubbi serve “un coordinamento anche a livello europeo per negoziare le stesse condizioni tra i diversi Paesi membri, soprattutto quando un Paese Terzo vuole negoziare con i singoli Stati membri”. Oggi l’Italia sta negoziando per aprire le porte in Messico, Sud Africa, Taiwan, USA e Vietnam. E naturalmente la Cina. Nonostante i belgi c’è ottimismo tra gli italiani, è il caso di Marco Salvi, presidente di Fruit Imprese: “L’apertura di alcuni mercati possono cambiare l’economia di interi territori. In Cina privilegiano il kiwi giallo ovvero i prodotti dolci”. La pera italiana, con la sua dolcezza, può quindi fare la differenza.
“Sull’export dai 5 miliardi del 2017 siamo scesi ai 4,5 del 2018 – ha continuato Salvi – oggi si registra un saldo positivo di poche decine di milioni di euro e con importazioni che stanno superando le esportazioni”. Per fare un esempio: “Importiamo il doppio degli agrumi che esportiamo” mentre la Germania che era il “nostro primo mercato ora vede la presenza di belgi e olandesi viste le porte chiuse in Russia. La varietà Conference la fa da padrona perché nei punti vendita e più facile da gestire”. Anche questi sono elementi che determinano il successo commerciale. Ma c’è un mondo da conquistare per Salvi: “In Messico sono 130 milioni e sono gente latina che mangia come noi. Un mercato importante”.
Negoziato con la Cina: gli ispettori alla raccolta
Sul negoziato con la Cina ha fornito ottimismo in un video messaggio Enrico Berti, Primo Segretario dell’Ambasciata Italiana a Pechino: “La Cina, con 13 milioni di tonnellate, è titolare dei due terzi della produzione mondiale di pere, domina naturalmente la varietà asiatica, ma recentemente si sono registrate difficoltà climatiche con conseguente calo della produzione e l’aumento delle importazioni dall’estero: dal Belgio all’Argentina”. Ma il continente è grande e se la domanda cresce si spera in un buon raccolto commerciale. “Sul negoziato nei giorni scorsi da una lista di 19 sono stati eliminati alcuni agenti patogeni e si sta preparando la visita degli ispettori”.
Uno spiraglio positivo? Il biologico
Tra gli operatori c’è chi sottolinea anche, per fortuna, aspetti positivi. Per Ilenio Bastoni, ad esempio, direttore generale di Apofruit “la pera biologica ha risposto in maniera importante e in questi anni la trasformazione industriale ha tenuto la produzione. L’innovazione varietale porta a delle svolte, ma vanno gestite”.
Piergiorgio Lenzarini, presidente del Consorzio della Pera dell’Emilia Romagna IGP, ha sottolineato come “non tutte le catene puntano sulla denominazione di origine, ma il consumatore cerca delle rassicurazioni che possono dare i prodotti IGP. La nostra missione è la tutela, ma portiamo avanti azioni di informazione che richiedono investimenti ed energie”.
Per i giovane Luigi Mazzoni, amministratore delegato dei Vivai Mazzoni, “la pericoltura non è arrivata al termine. Ma stiamo attenti a quello che sta succedendo”. Bisogna essere vigili, ma non pessimisti.