Il 2020 delle castagne mostra un bilancio sostanzialmente favorevole. A rilevarlo è Coldiretti, che stima una produzione nazionale superiore ai 35 milioni di chilogrammi, grazie a un settembre particolarmente favorevole. Numeri comunque lontani dai fasti del passato, dal momento che “in un decennio – denuncia Coldiretti – si sono persi 20 milioni di chili”.
“La Campania – prosegue l’organizzazione agricola – è la prima regione produttiva italiana con 13.800 ettari e ha visto un incremento del 20/30% sul 2019. Bene anche la Toscana (prima regione per numero di Dop e Igp con cinque riconoscimenti) e l’Emilia Romagna (+30%); in pareggio il Trentino. Col segno rosso troviamo la Calabria (-20/30%), il Lazio che conta più di seimila imprese nel settore (-20%) e il Piemonte con il 20% in meno per la produzione intensiva e, addirittura, il -40/50% per quella tradizionale”.
“L’Italia – rileva ancora Coldiretti – resta comunque uno dei principali produttori e vanta quindici prodotti a denominazione di origine legati al castagno che hanno ottenuto il riconoscimento europeo. Cinque sono in Toscana (il Marrone del Mugello Igp, il Marrone di Caprese Michelangelo Dop, la Castagna del Monte Amiata Igp, la Farina di Neccio della Garfagnana Dop e la Farina di Castagne della Lunigiana Dop); tre in Campania (la Castagna di Montella Igp, il Marrone di Roccadaspide Igp e il Marrone di Serino/Castagna di Serino Igp) e Veneto (il Marrone di San Zeno Dop, i Marroni del Monfenera Igp e i Marroni di Combai Igp); due in Piemonte (la Castagna Cuneo Igp ed il Marrone della Valle di Susa Igp); uno a testa per Emilia Romagna (il Marrone di Castel del Rio Igp) e il Lazio (la Castagna di Vallerano Dop). A questi si aggiungono due mieli di castagno: il Miele della Lunigiana Dop della Toscana e il Miele delle Dolomiti Bellunesi Dop del Veneto.
Il 2020, guardando ai dati pubblicati dal “Centro studio e documentazione del castagno”, ha visto un andamento altalenante nel Belpaese con regioni che hanno avuto dei rialzi produttivi ed altre che hanno sofferto. Ad incidere, oltre al clima, anche il covid, soprattutto per i produttori abituati ad operare in regime di filiera corta e costretti adesso ad affidarsi ad intermediari”.