Non è la prima volta che L’Internazionale si occupa di cibo, alimentazione, distribuzione (vedi qui e qui per esempio), e quasi sempre lo fa con lunghe e dettagliate inchieste sul campo, molto approfondite e documentate. Così come questa volta con il reportage dal titolo “Chi paga il conto per le banane equosolidali” del giornalista Stefano Liberti.
Ha senso parlare di commercio equo e solidale quando nelle piantagioni i lavoratori sono pagati cinque dollari al giorno?”
È una delle tante contraddizioni che emergono nel lungo articolo che analizza la situazione dei lavoratori, quasi tutti haitiani, delle piantagioni di banane della Repubblica Dominicana, la zona in questo momento forse più importante al mondo – qui il temutissimo virus Tropical race 4 non è ancora arrivato – per la coltivazione di uno dei frutti più consumati ovunque.
L’articolo si sofferma anche sulla guerra dei prezzi al ribasso presente nella Gdo britannica, dove le banane Fairtrade vengono vendute a 0,72 sterline al chilo (0,85 euro) da grandi big come Asda, Sainsbury’s, Morrison e Tesco. “Proponendo le banane a prezzi insolitamente bassi, la grande distribuzione sta mandando un messaggio sbagliato ai consumatori” denuncia il fondatore di una Ong di nome Banana link. “A quei prezzi c’è poco margine per migliorare veramente le condizioni dei piccoli produttori e dei lavoratori, nonché le condizioni ambientali per una produzione davvero sostenibile”.
In Europa il commercio di prodotti Fairtrade cresce ogni anno sempre di più, in particolare quello delle banane: nel Regno Unito una su quattro è equa e solidale, in Svezia una su due, in Svizzera una su cinque. In Italia (vedi qui dati) undicimila tonnellate di banane hanno questa certificazione, con una crescita annua dell’8%. “Anche se il prezzo al consumatore non è mai sceso ai livelli britannici, il problema dello sfruttamento degli immigrati haitiani esiste comunque”.
Qui il link al all’articolo.
Aggiornamento
Lo stesso giorno della pubblicazione dell’articolo de L’Internazionale, lunedì 22 maggio, Fairtrade Italia ha pubblicato a sua volta un comunicato per chiarire alcuni punti definiti “leggermente fuorviante perché non è sempre ben specificata la differenza tra banane certificate Fairtrade, con altre certificazioni di sostenibilità e provenienti da produzioni non certificate”. Qui il link