Il potenziale per una maggiore penetrazione del segmento dei piccoli frutti e delle fragole in Italia è molto alto. E, pertanto, ciascun attore della filiera, in funzione del proprio ruolo e delle proprie competenze, può contribuire a incrementarne lo sviluppo.
E’ quanto emerso oggi durante la quarta edizione di Berry trend, il webinar organizzato dalle testate giornalistiche Italian Berry e myfruit.it e moderato dalla direttrice di quest’ultima, Raffaella Quadretti.
Lo scenario produttivo e di mercato
A Thomas Drahorad, presidente NCX Drahorad, il compito di inquadrare lo scenario con qualche numero. “Lato produzione – ha esordito – la categoria piccoli frutti e fragole assomma a circa 6.500 ettari. Crescono, rispetto all’anno precedente, solo i mirtilli (+1%). In decremento i lamponi (-9%), le more (-1%), i ribes (-2%)”.
Lato mercato, invece, il trend è in aumento (+50%). “Se è vero che dal 2020 al 2023 si è passati da 111 milioni di fatturato a 173 – ha sottolineato Drahorad – è altrettanto vero che per more, ribes e lamponi si assiste, tra il 2021 e il 2022, a un drastico calo. Con il nostro Osservatorio abbiamo contestualizzato questo dato e abbiamo rilevato che, di fatto, ai cali quantitativi corrispondono cali qualitativi, non a caso i mirtilli non soltanto continuano a tenere il passo, ma hanno raddoppiato in soli tre anni il fatturato. Il che, credo, rappresenti un unicum nel settore ortofrutticolo”.
La qualità è fondamentale
Dunque la qualità del prodotto è determinante. Sul tema è intervenuta Carmela Suriano, direttrice di Nova Siri Genetics, che ha argomentato: “E’ l’innovazione a creare valore. Negli ultimi dieci anni la categoria piccoli frutti e fragole ha vissuto un profondo cambiamento dettato dai cambiamenti climatici e dal mutare della domanda di mercato. la ricerca deve intercettare le nuove esigenze e dare risposte, per esempio con varietà precoci e rustiche, capaci dunque di resistere a siccità e sbalzi climatici, oggi sempre più frequenti. Le potenzialità di crescita dei berry in Italia sono notevoli rispetto ad altri Paesi e pertanto, grazie a nuove varietà resistenti ai patogeni e grazie alle diverse tecniche colturali, per esempio la coltivazioni fuori suolo, possiamo crescere molto in termini di produttività. Senza tralasciare la qualità, il giusto e la vita commerciale del prodotto”.
Sant’Orsola e la marca del distributore
Sant’Orsola è sicuramente un player che non necessita presentazioni: 750 soci in sette regioni italiane, dal Trentino Alto Adige alla Sicilia, per un totale di 150 ettari a mirtilli, 50 a more, altri 50 a ribes e 100 a lamponi. “Abbiamo lavorato sul calendario e oggi siamo in grado di coprire diversi mesi all’anno – ha argomentato Nicola Leonardi, responsabile area commerciale Sant’Orsola – Dal 2021 siamo partiti anche con alcuni progetti sulla Marca del distributore (Mdd) e, nonostante l’iniziale reticenza, possiamo dirci molto soddisfatti, oggi collaboriamo con le principali insegne“.
Sono infatti aumentati volumi, fatturato e remunerazione dei produttori ma, forse ancora più interessante, si è conosciuto più da vicino l’acquirente finale.
“Grazie a queste collaborazioni siamo riusciti a portare a scaffale prodotto a residuo zero, i bis e i tris, oppure confezioni con grammature diverse dai classici 125 grammi – ha riferito – In altre parole, la Mdd ci ha permesso di conoscere meglio il consumatore e i suoi gusti”.
Il prodotto premium e la continuità di fornitura pagano
Sulla marca del distributore anche Giovanni Sansone, responsabile acquisti ortofrutta Dimar, si è detto positivo, soprattutto se riguarda il segmento premium. Dimar, però, al momento stia puntando su altri aspetti.
“Abbiamo selezionato fornitori che ci possano garantire, oltre alla qualità del prodotto, forniture complete e continuative – ha precisato il manager – Inoltre stiamo puntando sul packaging distintivo. Siamo convinti che il segmento berry abbia un ambito di miglioramento importante e pertanto, soprattutto per dare un nuovo impulso al prodotto di fascia alta, intendiamo proporre anche degustazioni nel punto di vendita”.
No alla rottura di stock
Thomas Drahorad ha poi mostrato i dati relativi ai consumi rilevando, ancora una volta, l’enorme potenziale della categoria.
“Una famiglia su quattro compra mirtilli almeno una volta l’anno, il che significa il 25% delle famiglie italiane, il 13% se ci riferiamo ai lamponi, il 5% alle more e solo il 2% ai ribes. Ogni anno le famiglie che scelgono i mirtilli ne comprano 1,4 chilogrammi, circa un cestino da 125 grammi al mese. Considerando però una spesa media, per i mirtilli, di 19 euro all’anno, significa che gli 11-12 cestini sono acquistati quando costano poco, circa 1,69 euro l’uno“.
“Occorre che la filiera mediti su questo aspetto – ha aggiunto – Quello che però non deve succedere è la rottura dello stock“.
“Secondo i dati nel nostro Osservatorio Piccoli frutti (775 punti di vendita visitati nel 2023, ndr) una volta su 15 il consumatore entra nel punto di vendita e non trova i piccoli frutti che cerca – ha concluso – Il che si traduce in cliente deluso, mancato acquisto di impulso, perdita di fatturato e margini, ma soprattutto danno di immagine e di reputazione per l’insegna”.