Incredulità, incertezza. Sono queste le prime reazioni da parte di molti di quelli che pensavano, e speravano, che l’ipotesi del Brexit, l’uscita del Regno Unito dall’Ue fosse un’ipotesi, tutto sommato improbabile. E, invece, il risveglio di venerdì 24 giugno ha dato un esito differente rispetto ai sondaggi della sera prima e all’ottimismo delle borse internazionali. Il “Leave” ha vinto, seppure di poco: 51,9% contro 48,1%.
È presto per prevedere con certezza cosa succederà nel breve, così come nel medio o lungo periodo, per l’export agroalimentare italiano, ortofrutta inclusa.
L’Italia esporta nel Regno Unito prodotti agroalimentari per un valore di 3,2 miliardi di euro, a fronte di un import pari a 700 milioni. Per quanto riguarda il settore ortofrutticolo, come sottolineava giovedì Italiafruit, stando ai dati di Fruitimprese, l’Italia esporta a valore 278 milioni di euro, ne importa 31 milioni.
Se molti già ipotizzano scenari catastrofici, altri cercano di gettare acqua sul fuoco. È il caso, per esempio, di Luigi Scordamaglia, presidente di Federalimentare, che in una nota del 24 giugno ha affermato come nonostante il clima di incertezza “l”export agroalimentare italiano verso il Regno Unito continuerà a crescere e anche la politica agricola europea non potrà che rafforzarsi con l’uscita di un Paese che spesso si è opposto ad un miglioramento degli standard dei prodotti verso i livelli elevati su cui ha sempre puntato l’Italia.
Se nel breve periodo gli effetti sull’export agroalimentare italiano, così come su tutti i Paesi che esportano in Uk, sono sostanzialmente legati alla svalutazione della sterlina, nel lungo periodo (i negoziati di uscita, secondo l’articolo 50 del Trattato europeo, avranno un percorso che durerà tra i due e i cinque anni), invece, sono più incerti. Tutto dipenderà, in buona parte, dai negoziati futuri tra Ue e Regno Unito.
A risultato referendario ormai certo, Philippe Binard, General Delegate di Freshfel Europe, in un intervista rilasciata ad Eurofruit, ha sottolineato come, nel breve, il Regno Unito di fatto resterà in Europa con tutti i diritti e doveri che questo comporta. Ma dopo? “Diventerà un paese terzo, ma non è ancora chiaro di che tipo”. Quindi o aderirà all’Efta, vale a dire l’associazione europea che regola il libero scambio, affiancando i paesi che già ne fanno parte, come Norvegia, Svizzera o ancora Liechtenstein e Islanda o, al contrario, se questo non dovesse avvenire, potrebbero venire ristabiliti i dazi.
Rimane il fatto che dovranno ripartire le negoziazioni. Come sottolinea ancora Binard, il Regno Unito dovrà rinegoziare sia le importazioni di frutta e verdura, per esempio, provenienti dal Cile,così come quelle oggi in vigore per le arance spagnole o per i pomodori olandesi. Trattative che certo non dureranno pochi mesi.
Le fluttuazione della sterlina, con i relativi mancati guadagni da parte dei fornitori che oggi esportano merce nel Regno Unito, potrebbe avere come conseguenza anche quella che questi ultimi comincino a guardare altrove. Nic Jooste, direttore marketing di gruppo olandese Cool Fresh, in un’altra intervista rilasciata sempre a Eurofruit, ha per esempio preso in considerazione il caso del Sud Africa, che da sempre vende ortofrutta in grande quantità in Uk. “Se il valore della sterlina dovesse scendere del 30/40%, sarà necessario capire se le offerte che ricevono in Europa non siano più convenienti rispetto a quelle del Regno Unito”. Potrebbero, un po’ come successo nel caso dell’embargo russo, cambiare anche i flussi commerciali delle merci, con le conseguenze che questo comporta, direttamente o indirettamente, un po’ per tutti i Paesi, indipendentemente dal fatto che essi siano grandi o piccoli esportatori verso il Regno unito?
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