I motivi che stanno colpendo quest’anno un settore così stretegico per la frutticoltura italiana, e in particolare per quella dell’Emilia Romagna, come quello della produzione di pesche e nettarine e della frutta estiva in generale, sono oramai noti: «i bassi consumi legati ad una estate “pazza” per il clima, la concomitanza produttiva del Sud con il Nord Italia, ma anche una maggiore offerta spagnola che invia sui mercati nord europei, Germania in particolare, tonnellate di pesche con prezzo “aperto”, da determinare – sottolinea Giancarlo Minguzzi, presidente di Fruitimprese Emilia Romagna – . Diventa così impossibile concordare con le catene distributive qualsiasi prezzo, così si può solo subire». Una situazione che sta creando una perdita economica per i produttori che Fruitimprese quantifica in 4000 euro ad ettaro poiché i prezzi di vendita all’origine continuano ad attestarsi intorno ai 20 centesimi al chilo, cifra abbondantemente sotto gli stessi costi di produzione.
Come uscirne? Minguzzi da una parte sottolinea come la concorrenza alla frutticoltura della sua regione non arrivi solo dall’estero, quanto anche dall’Italia stessa, ma dall’altro si concentra anche sul tema della qualità della frutta estiva. «Per difendere i nostri prodotti estivi che, oltre a pesche e nettarine, sono anche susine albicocche meloni e cocomeri, occorre differenziare oltre a calibro e colore anche con il grado brix (lo zucchero contenuti nei frutti). Questo perché le annate di crisi stanno diventando sempre più frequenti, quindi occorre alzare il tiro della qualità su produzioni che evidentemente non incontrano sempre il gusto e l’apprezzamento dei consumatori».
Non manca poi il riferimento, alla grande distribuzione estera, inglese in particolare, molto sensibile sul tema della qualità, aspetto assolutamente non secondario nella scelta di frutta e verdura. «Chiedono più qualità e anche quest’anno la pagano almeno sufficientemente, ma pretendono 9 o 10 gradi brix a seconda delle catene». Minguzzi conclude: «Questo salto di qualità si può, si deve fare, superando qualsiasi appartenenza di bandiera; ne va del futuro dell’economia agricola di gran parte della Romagna».
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