Oscar Farinetti, dagli spazi che hanno ospitato l’ultima edizione di “Taste. In viaggio con le diversità del gusto” di Firenze, ha rilanciato nuovamente il tema di un marchio unico che identifichi tutte le produzioni alimentari italiane. «Penso che noi italiani diciamo tante parole e ci dimentichiamo di aiutare i consumatori a scegliere i nostri prodotti veri» ha sottolineato Farinetti secondo quanto riporta, per esempio, Winenews. E ancora. «Io ho già in mente un logo, una mela tricolore, ma su questo spetta ad altri la scelta. Dobbiamo inaugurare questo marchio in tempo per l’Expo 2015. Poi dopo due anni di investimenti in pubblicità raccontiamo tutte le belle cose sui nostri prodotti, con l’obiettivo di aumentare il prezzo medio per far star meglio produttori e consumatori».
Ma come controllare i prodotti che si fregerebbero di questo marchio? Non c’è il rischio che la qualità media dei prodotti vada verso il basso, vanificando il lodevole intento iniziale? È un dibattito aperto e sicuramente interessante, poiché se c’è una cosa che spesso non sappiamo fare, soprattutto sui mercati esteri, è proprio quella di saper valorizzare a dovere l’immenso giacimento agroalimentare che abbiamo a disposizione. Qui di seguito, riportiamo il testo di una mail che abbiamo ricevuto da un nostro lettore circa l’idea del marchio unico di Farinetti, che solleva interrogativi degni di attenzione. E voi, cosa ne pensate? Vi aspettiamo su Facebook.
Anche i migliori possono sbagliare
Oscar Farinetti propugna ripetutamente e con convinzione: dobbiamo inventare un marchio unico per identificare i prodotti made in Italy. Immagina una mela tricolore impressa sul formaggio Parmigiano Reggiano, sulle cosce di prosciutto San Daniele o su altre eccellenze.
Io, invece, sono convinto del contrario. Un marchio unico sarebbe la tomba delle eccellenze e l’inizio di una decadenza generale provocata da uno scivolamento verso un livello qualitativo medio-basso. Nessuno riuscirebbe a controllare l’idoneità di tutto ciò che verrà “marchiato”: ben che vada si arriverebbe a un appiattimento e a una massificazione della qualità. Dopo un inizio capace di sfruttare ancora la vecchia immagine positiva del made in Italy, assisteremmo inseguito alla corsa a marchiare prodotti meno validi con il risultato finale che solo i peggiori produttori o le zone meno vocate apporrebbero il marchio a prodotti promossi con grande dispendio di denaro pubblico e con grande ricorso alla corruzione di amministratori e controllori.
Sicuramente ritengo giusto ripensare l’immagine con la quale presentare la produzione alimentare italiana, trovo però più centrata l’idea proposta da veri esperti pubblicitari che pensano che per il settore alimentare, al posto di made in Italy (molto legato all’oggetto nato in fabbrica), sia più appropriato il pay off “Creato in Italia” che richiama il paese di provenienza ed è facilmente comprensibile.
Alberto Forlanesi
Fonte foto: www.ok-salute.it