Anche le riviste più patinate negli ultimi anni hanno dedicato una gran mole di articoli e servizi all’agricoltura in città. Un fenomeno antico, visto che non sono mai mancati gli orti urbani – da qualche decennio gestiti spesso dagli assessorati ai servizi sociali, perché affidati agli anziani – ma oggi il fenomeno è di moda. Una tendenza green.
Coltivare negli spazi e anfratti liberi delle metropoli è stato letto come un fenomeno positivo per l’ambiente e per la comunità. Tutto vero. Servono piante tra asfalto e cemento. Ma non si sono fatti i conti con le emissioni climalteranti. Ci hanno pensato gli scienziati che hanno poi pubblicato lo studio su Nature Cities.
Impronta di carbonio sei volte più alta
Cosa dice? L’impronta di carbonio è più alta di sei volte rispetto alle coltivazioni degli spazi rurali. In campagna è più naturale, in tutti i sensi. Attenzione però questa analisi non riguarda l’agricoltura verticale e quella più tecnologica che si basa sulla riduzione dell’uso dell’acqua e della chimica. Si sono, invece, analizzati 73 orti urbani in 5 Paesi diversi tra Europa e Stati Uniti.
Uno studio fatto con i cittadini
Lo studio è stato pubblicato il 22 gennaio con il titolo “Comparing the carbon footprints of urban and conventional agriculture“. Tra gli autori Jason K. Hawes della School for environment and sustainability dell’Università del Michigan, Benjamin P. Goldstein, Joshua P. Newell, Erica Dorr, Silvio Caputo.
La ricerca analizza l’agricoltura urbana (Ua) come strategia per migliorare la sostenibilità delle città e dei sistemi alimentari urbani. Utilizzando la scienza dei cittadini, il coinvolgimento dei protagonisti dell’agricoltura urbana, per confrontare i prodotti urbani con quelli provenienti da agricoltura convenzionale.
I pomodori di città producono meno emissioni
I ricercatori fanno emergere che l’impronta di carbonio del cibo cittadino è sei volte maggiore rispetto all’agricoltura convenzionale. Vediamo i numeri: 420 grammi CO2e contro 70 per porzione della coltivazione rurale. Una pratica da cestinare? Per fortuna no.
Come si legge nello studio: ” Alcune colture come i pomodori e il 25% degli orti gestiti individualmente producono meno emissioni dell’agricoltura convenzionale. Questi casi suggeriscono che è possibile ridurre gli impatti climatici dell’agricoltura urbana coltivando determinate colture e sfruttando la circolarità, ad esempio utilizzando rifiuti come input”.
Nonostante le conclusioni generali, l’agricoltura urbana può avere anche un suo significato ambientale, quello sociale è evidente, se si seguono i consigli e i suggerimenti degli scienziati. Una parte dello studio si può scaricare qui.