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Spopolamento? Si batte con la mela rosa dei Monti Sibillini

Nella campagna delle Marche la rinascita grazie al recupero di un frutto scartato dalla modernizzazione

La frutta può diventare  cibo sociale e comunitario. Una leva per rigenerare territori in crisi e in via di spopolamento. Una scossa in positivo la può dare anche una piccola mela, dimenticata da trent’anni perché poco commerciale ma ricca di sapori unici ed originali. Stiano parlando della mela rosa dei Monti Sibillini nelle Marche scoperta con entusiasmo dal giornale di San Francisco Far che le ha dedicato un lungo servizio sul campo (anzi sui monti!), per la penna di Agostino Petroni.

Una mela sull’arca, anche produttori rumeni

Il merito della riscoperta di questo frutto antico è da dividere tra diverse persone a iniziare da Nelson Gentili, agronomo di 62 anni di Comunanza, come leggiamo nell’articolo, che ha dato una mano preziosa nel recuperare i pochi alberi rimasti dopo l’opera di sradicamento per colture più commerciali. Il tocco magico ovvero il marketing è stato a cura degli uomini e delle donne di Slow Food che hanno sensibilizzato, informato e degli enti locali che hanno creduto in questo progetto comunitario. Oggi da zero siamo passati a qualche decina di produttori che credono in questa risorsa naturale. Basta sfogliare la pagina di Slow Food dedicata alla mela dove si scoprono i nuovi cultori di questo frutto antico. E non sono tutti italiani, c’è anche Mirela Ghimis Dumitrescu dalla Romania che lo valorizza nella sua cucina.

La mela dei Sibillini che si conserva da ottobre ad aprile

Vediamo di saperne di più di questo frutto grazie a Slow Food: viene coltivata tra i 450 e i 900 metri di altitudine, dalle aree pedecollinari fino alle valli appenniniche e ai versanti dei Monti Sibillini. Questi  i comuni interessati dalla coltura Amandola, Comunanza, Force, Montedinove, Montefalcone Appennino, Montefortino, Montelparo, Montemonaco, Rotella, Santa Vittoria in Matenano, Smerillo. Siamo tra le province di Fermo e di Ascoli Piceno. Una caratteristica  fondamentale che l’ha rese preziosa è la serbevolezza, ovvero l’attitudine a conservarsi bene per lungo tempo in ottimi condizioni.  Le mele raccolte ad ottobre si conservavano fino ad aprile, una shelf life senza frigo molto apprezzata nei tempi antichi. La polpa è acidula e zuccherina e il profumo intenso e aromatico. Il Presidio ha individuato otto ecotipi di mele appartenenti a tre gruppi, che si diversificano per colore di fondo, sovracolore e consistenza del frutto. Inoltre presenta una buccia spessa e resistente che permette di tutelare il frutto dalle infezioni. In questo modo si presta bene ad una coltivazione biologica e con poche cure.

Rende ricca la cucina: mela rosa con coniglio e cozze

Un incontro fortunato per la mela rosa è stato quello con gli chef che sono riusciti a valorizzarla nei loro menù. E’ la storia di
Enrico Mazzaroni che nel ristorante Il Tiglio offre cucina esperienziale. Qui nascono ricette uniche come le mele rosa con coniglio e cozze. Lo chef valorizza la mela, ma anche tanti altri prodotti locali come è evidente nel menù: pecorino dei Sibillini con porro ed erba trovata, baccalà con crema di cipolle e lenticchie soffiate.  Mazzaroni valorizza pure le carote, senza dimenticare l’intrigante anatra alle ciliegie. La mela riporta vita ed economia in queste valli e montagne delle Marche  dove cresce il turismo del gusto con vacanzieri alla ricerca dei sapori  della frutta di una volta.

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