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Cipolla rossa di Breme: così si difende questo presidio Slow Food

cipolla rossa di breme
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Autore Redazione

In Lomellina, al confine tra Lombardia e Piemonte, una quindicina di produttori coltivano un ortaggio che ha anche numeri da record

Una delle caratteristiche più stupefacenti agli occhi di chi prende per la prima volta in mano una cipolla rossa di Breme è il suo peso: mediamente si aggira sui 600-700 grammi, ma può superare abbondantemente anche il chilo. Per l’esattezza, anzi, il record spetta a una “quarantina” (ovvero la varietà di cipolla di Breme dalla forma più piatta, l’altra più tondeggiante è la cosiddetta “nostrana”) da 2.041 grammi. Ma non è certo soltanto la dimensione extra-large di questa cipolla ad esserle valsa l’inclusione tra i Presìdi Slow Food.

La cipolla di Breme, infatti, è nota come “la dolcissima“. A donare questa caratteristica sono il microclima e il terreno della zona, poco distante dalla confluenza tra i fiumi Po e Sesia, reso fertile dalle falde acquifere che corrono a circa un metro e mezzo dalla superficie, al punto da non richiedere che venga irrigato.

La cipolla coltivata nel paese di Breme, settecento abitanti in provincia di Pavia, nella Lomellina, ha una storia millenaria. Le fonti arrivano addirittura al 906 dC, quando alcuni monaci dell’abbazia di Novalesa, in Val di Susa, si trasferirono nella bassa Lomellina per sfuggire alle incursioni barbariche saracene. A Breme sorse così un’abbazia, esistente ancora oggi e consacrata a San Pietro, dove i religiosi fuggiaschi non trovarono soltanto il luogo ideale per coltivare la spiritualità, ma anche i più prosaici ortaggi.

Se ai tempi dei monaci le varietà di cipolla coltivate a Breme erano due, quella dorata e quella rossa, oggi la più coltivata è la seconda, grazie alle sue caratteristiche (dolcezza, croccantezza e alta digeribilità) che ne hanno decretato il successo e l’utilizzo in cucina per molte ricette differenti: è infatti ottima sia cruda in insalata, sia cotta come zuppa o in frittata.

Ancora oggi la coltivazione è per lo più manuale e non si discosta molto da quella tramandata dai monaci. Si tratta di un lavoro lungo e complesso, secondo un rigido disciplinare che vieta ogni tipo di pesticida e prevede l’utilizzo soltanto di prodotti consentiti in biologico. Tutto comincia in concomitanza con la luna calante di agosto, quando i semi vengono messi a bagno in sacchi di iuta. Appena germinati, si seminano in vivaio e soltanto tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre le piantine vengono trapiantate in campo. La raccolta, invece, inizia a giugno e si protrae per un paio di mesi: il momento giusto per toglierle dal terreno è quando il gambo inizia ed essiccare e si piega su se stesso.

Il lavoro, però, non termina qui: una volta raccolte, le cipolle rosse di Breme vengono lasciate per alcune ore in campo al sole, dopodiché depositate in un luogo ombreggiato, dove rimangono altri tre o quattro giorni per completare il processo di maturazione ed essiccazione.

I produttori della cipolla rossa di Breme, oggi, sono 16. “Nel 2006 erano appena quattro o cinque”, ricorda Francesco Berzero, referente dei produttori del Presidio Slow Food e sindaco del paesino. Una riscoperta che ha consentito di aumentare la produzione, passata negli ultimi 14 anni da 150 quintali a oltre mille.

Cifre che comunque non si avvicinano nemmeno lontanamente a quelle di settant’anni fa, quando il consorzio locale (fondato nel 1943) poteva contare su duecento soci. “Il Consorzio rimase attivo per trent’anni, chiudendo nel 1973 a causa della bassa remunerazione di questa coltura e della mancanza di manodopera dovuta all’esodo dei giovani verso le città e le industrie”, spiega Franco Ranzani, fiduciario della Condotta Slow Food Vigevano e Lomellina. Nell’area prese il sopravvento la coltura di riso, meno impegnativo e più redditizio della cipolla.

Dieci anni più tardi, la svolta: la Polisportiva Bremese, squadra di calcio del Paese, organizzò la prima Sagra della cipolla. Era il 1982, e il piccolo club aveva bisogno di racimolare qualche soldo per iscriversi al campionato di Terza Categoria. Da quel momento in poi, ogni estate la Polisportiva ha organizzato l’evento, patrocinato dal Comune. Una tradizione che si è ripetuta per 38 anni, fino al 2020, quando la pandemia di Covid-19 ha costretto allo stop. “Cerchiamo di rispettare tutto quello che la storia ci ha lasciato, sia a livello di natura, sia di ortaggi, sia di monumenti storici”, spiega Berzero. “Arrivare ad avere un Presidio Slow Food è un traguardo importante che ci eravamo prefissati già nel 2015, quando partecipammo a Expo invitati da Slow Food e dove portammo 160 piantine di cipolle rosse”.

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