Il pistacchio continua a essere più di una questione di principio tra Bronte (CT), storica terra di “oro verde”, peraltro certificata con tanto di Dop, e il territorio di Raffadali (AG). In vista della campagna 2019, così (tradizionalmente sono gli anni dispari quelli della raccolta), tornano a galla vecchie questioni, cui si aggiungono nuovi motivi del contendere. Anche Raffadali, infatti, ha recentemente richiesto la Dop, e potrebbe ottenerla nel giro di sei mesi. Bronte, quindi, si troverebbe “minacciata” della sua unicità, e non la ha mandata a dire. Sulle colonne del “Venerdì” di Repubblica si è consumato quello che potrebbe essere definito il “primo round”, in attesa di vedere come saranno gli sviluppi.
Biagio Schilirò, presidente del Consorzio di tutela del pistacchio di Bronte Dop, non ha dubbi su chi la spunterà alla fine: “Vinciamo a mani basse – ha dichiarato a Repubblica – abbiamo il terreno lavico che regala al prodotto una particolarità unica. Non c’è gara, a meno che loro non riescano a spostare l’Etna”. Salvatore Gazziano però, componente dell’associazione per la tutela del pistacchio di Raffadali, ha ribattuto: “Anche il nostro pistacchio ha caratteristiche organolettiche particolari che lo rendono unico, altrimenti non ci saremmo candidati alla Dop. E’ l’unico al mondo ad avere l’acido palmitoleico, fondamentale per la salute del nostro organismo”.
Attualmente, il pistacchio di Bronte Dop aggrega 500 produttori, per un fatturato di circa 20 milioni di euro. Il valore del fatturato raddoppia se si considerano poi anche i pistacchi non commercializzati con la Dop. A livello di quantitativi, Bronte vanta una produzione di circa 34.000 quintali (fonte: Istat), a fronte di una produzione italiana che nel 2017 è stata di 38.856 quintali. Tra Raffadali e Caltanissetta, i quantitativi di pistacchio prodotto sono attualmente circa 4.000 quintali.