Splende il sol dell’avvenire sull’uva da tavola pugliese e siciliana. Parola dell’imprenditore Nicola Giuliano che, oltre a rappresentare la Giuliano Puglia Fruit, è uno dei punti di riferimento della filiera per tutto il sud Italia: “C’è un processo di cambiamento straordinario, ora possiamo competere anche all’estero“. Si è respirato ottimismo al webinar “Uva da tavola, le sfide per il comparto” organizzato da myfruit.it e condotto dalla direttrice Raffaella Quadretti.
La ricerca è fondamentale, ma solo uno su 30mila c’è la fa
La crisi spinge al cambiamento che arriva dopo un periodo dove “si è lavorato molto su calendario e volumi ma non sempre sul gusto“. Più quantità che qualità sottolinea Claudio Mazzini, responsabile commerciale freschissimi di Coop Italia, che ha determinato delle conseguenze negative in un mercato che ora vede “le uve senza semi, con maggiore croccantezza, dolci che intercettano il gusto giovanile”. Analisi che parte dai dati: “La Vittoria ha tenuto, la Pizzutella ha tenuto, l’Italia è crollata ed è preoccupante. Crollo per problemi di qualità”. Questa la situazione a cui si risponde con la ricerca e qui arriva la battuta di Mazzini: “Uno su 30mila c’è la fa” perchè l’ottimismo di Giuliano si nutre su un lungo e costoso lavoro: “In Puglia ora sono attive tre organizzazioni di ricerca. Una mista pubblico/privato con il Crea dove stiamo incrociando diverse varietà con ottimi risultati. Si sono spesi 5 milioni di euro per avere una varietà autoctona pugliese, da proporre anche alle altre regioni. Ma la varietà buona si ottiene con almeno 30mila incroci, noi ne abbiamo fatto 50mila quindi dovremo ottenerne almeno 2/3 buone”.
Un lavoro con risultati oltre le aspettative
Giuliano non ha paura ad apparire troppo ottimista: “Un cambiamento straordinario che forse non ha eguali nel reparto ortofrutta. Finalmente abbiamo accesso a tutte le varietà che si producono nel mondo e ci siamo ormai tolti ogni dubbio: ci sono varietà davvero straordinarie, che si producono anche con relativa facilità senza strani giochi di prestigio e che si producono forse anche meglio che nei paesi di origine. I risultati sono oltre le aspettative: abbiamo risolto i pregiudizi che avevano i breeder nei confronti dell’Italia e adesso possiamo affrontare i mercati soprattutto all’estero, quello italiano è un po’ saturo, alla pari con paesi come la Spagna. Dalle nostre parti non mancano clima, buon terreno e le competenze: possiamo fare la differenza”.
Alleanza tra Sicilia e Puglia sul calendario
Fare rete e sistema ma anche al di fuori dei confini regionali. E’ la filosofia dell’imprenditore Salvatore Novello (Novello & C. Srl) che non ha problemi ad ammettere il ritardo della Sicilia. “Causato dall’avere indugiato sulle uve tradizionali grazie anche a tecniche colturali avanzate che ci permettevano di anticipare la stagione di anche un mese”. C’era convenienza, ma oggi “ci sono enormi opportunità create dalle nuove varietà. Sicilia e Puglia insieme possono creare differenze e integrazioni per calendarizzare meglio l’intera stagione: quindi non una competizione ma un’integrazione“.
Nessun compromesso sulla qualità
Serve un sistema che bastoni chi non si adegua agli standard minimi, “essere intransigenti” sottolinea Mazzini, perchè come sostiene Maurizio Ventura (Sun World International): “La promessa al consumatore va mantenuta sulla base di tre livelli con verifiche in campagna (linee guida o protocolli di produzione), presso il distributore e presso il supermercato. Il produttore deve abituarsi a seguire i protocolli per avere la giusta qualità con queste varietà che hanno un unico principale difetto: producono tanto”.
Troppe varietà? Che fare?
Bene il nuovo che avanza guidato da maggiore professionalità e adeguato a criteri scientifici. La rivoluzione del prodotto risponde alle esigenze di consumatori più esigenti e che chiedono prodotti più smart – a iniziare dal senza semi – ma questa esplosione di nomi ha anche un impatto negativo?
“Sono tante le varietà mentre gli spazi sono limitati, spesso il consumatore conosce solo uva bianca, nera o rossa” è il pensiero di Giuseppe Semeraro (Gruppo Megamark) che punta sulla professionalità del venditore: “Tocca a noi a proporre le giuste varietà. Ad esempio Autumn Crisp la apprezzo molto, ma non dimentichiamo le varietà tradizionali che fatto la storia”. Più pubblici e palati da soddisfare. E il caso di Semeraro è interessante perchè al sud c’è tanta produzione di uva e non è semplice vendere.
“Abbiamo i produttori a ridosso dei nostri punti vendita, non è facile se non di alta qualità e gusto. Un caso di successo è stato nel 2022 l’Autumn Crisp oltre che Cotton Candy. Uva Baresana e uva Fragola, se ben spiegate, potrebbero avere buoni riscontri dai consumatori”.
Il futuro? La qualità, la controstagione
Maurizio Ventura non ha dubbi: “Il futuro è Autumn Crisp che sta raccogliendo interesse in tutto il mondo anche come prodotto di controstagione. Il gusto è il nostro principale dovere verso i consumatori. La prossima da provare in produzione è la precoce rossa Sugra53 per la quale quest’anno avremo i primi riscontri dai diversi areali in Italia. Un’altra è la Sugra48 che è un’Autumn Crisp nera. E, poi, la Sugra54 (fine agosto), una varietà difficile con vari difetti di buccia ma semplicemente la varietà più buona che c’è”.
Questi i consigli per le varietà. La filiera poi può allungare il calendario, ne è convinto Claudio Mazzini: “Con il progetto Pristine in controstagione abbiamo risolto un’anomalia quasi solo italiana che ci differenzia dal resto dei mercati: abbiamo capito che non si vendevano uve in controstagione perché non erano buone. Abbiamo iniziato tre anni fa, adesso da fine marzo abbiamo raggiunto risultati e gradimenti molto alti. Sarebbe importante congiungersi con il prodotto nazionale: il consumatore quando trova un prodotto buono è interessato, anzi il controstagione può fungere da acceleratore per il prodotto italiano”.
Cosa evitare?
Semeraro non sceglie la diplomazia e critica la raccolta precoce in Sicilia che poi delude il consumatore. Ammette ma tenta la difesa Salvatore Novello: “Spesso si forza la mano. Purtroppo si è abusato della raccolta troppo precoce, non è colpa solo dei produttori ma anche del meteo: il fatto che quest’anno mancasse il gusto era anche da imputare a un ritardo nella produzione causato dal maltempo: temperature, sole, precipitazioni”.
Non è più tempo di dilettanti per Nicola Giuliano: “Adesso non c’è più improvvisazione, siamo usciti dalla fase sperimentale e quello che è in produzione adesso va bene. Ma questo non vuole dire che ci dobbiamo fermare, la ricerca deve continuare come si va in cerca dei record sportivi. E questo è un ulteriore elemento di ottimismo”. Pensiero alto.