Per permettere al consumatore di acquistare prodotti biologici in maniera consapevole occorre fare ancora molta informazione. E’ uno dei tanti spunti emersi questa mattina durante “L’ortofrutta biologica scende in campo”, il digital press lunch (qui il video integrale) organizzato in collaborazione con myfruit.it da Made in Nature e moderato da Raffaella Quadretti, direttrice di myfruit.it.
Made in Nature è il progetto europeo triennale finanziato dall’Unione europea e da Cso Italy per diffondere la qualità e la cultura dei prodotti biologici europei e aumentare la consapevolezza su ciò che significa produrre e consumare bio.
Oltre agli interventi dei relatori, con alcune testimonianze video è stato raccontato il punto di vista di produttori, nutrizionisti e influencer, i quali hanno spiegato: come si coltiva bio in piccolo (ilcontadinonick) e in grande (Francesca Guatteri); come si può aiutare il consumatore a riconoscere il bio (Giorgia Pagliuca e Felicia Sangermano); sulle proprietà nutrizionali del biologico (Renata Bracale).
Made in Nature in sintesi
A Luca Mari, project manager di Cso Italy, è spettato il compito di ricordare i macro-obiettivi che Made in Nature si prefigge: “Il progetto non vuole solo promuovere il consumo di prodotti biologici – ha rilevato – ma desidera insegnare uno stile di vita sano e più rispettoso dell’ambiente, in altre parole il bio visto come scelta etica”.
I primi risultati sono incoraggianti
Quanto ai primi risultati (il progetto è partito il primo febbraio 2022 e terminerà il 31 gennaio 2025, ndr), Mari ha riferito: “Nel primo anno abbiamo tenuto 2mila giornate di promozione nei punti di vendita della Gdo, per un totale di 1,6 milioni di consumatori che hanno potuto degustare prodotti biologici. Grazie ai social e al sito web sono state coinvolte 30mila persone, 84 milioni sono i consumatori raggiunti nel complesso nei quattro Paesi target, e cioè Italia, Francia, Germania e Danimarca“.
I consumi preoccupano
A preoccupare gli stakeholder è però lo stallo dei consumi. “Nel 2022, dopo anni di consumi in crescita, abbiamo rilevato un’inversione di tendenza – ha fatto notare Tomas Bosi, esperto di produzioni di Cso Italy – Non si tratta di disaffezione al prodotto bio, ma di una conseguenza della situazione economica instabile e dell’inflazione crescente”.
A confermare il trend negativo Luca Zocca, marketing manager di Brio: “I quattro mercati coinvolti nel progetto sono tutti in contrazione – ha spiegato – Ogni Paese ha motivazioni diverse, per esempio Francia e Germania risentono anche loro della difficoltà economica, dell’inflazione e dei costi energetici, mentre la Danimarca, pur presentando un potere di acquisto molto elevato, mostra un crescente timore psicologico a spendere. In questo Paese, se lo scorso anno gli acquisti bio erano pari al 24-25% del totale, oggi sono sotto la soglia del 20 per cento. Nonostante la situazione, comunque, si tratta pur sempre di Paesi con consumatori di biologico evoluti, cresce infatti la richiesta di prodotti biodinamici”.
E in Italia? “Nel nostro Paese necessitiamo di una maggiore informazione del consumatore – ha sottolineato Zocca – Le confezioni e i punti di vendita da soli non bastano, occorre una campagna a livello istituzionale“.
Occorre fare chiarezza
Sulla necessità di maggiore informazione e chiarezza anche Vincenzo Finelli, direttore Orogel Fresco: “Tra prodotti a residuo zero, claim che evocano naturalità, sostenibilità e green, è in atto un po’ di confusione – ha argomentato – A mio avviso occorre tornare a comunicare il metodo biologico facendo riferimento alla normativa come si è fatto per anni. Abbiamo dato per scontato che la certificazione fosse chiara a tutti, ma forse è giunto il momento di tornare a ribadire le reali differenze tra il metodo bio, normato a livello europeo, e tutto il resto”.
“A distinguere e a comunicare le produzioni biologiche da tutte le altre – ha precisato Paolo Pari, direttore marketing di Canova – ci sono il marchio recante la foglia stilizzata, la dicitura da agricoltura biologica e il codice dell’organismo di controllo, tutti elementi obbligatori ai sensi del regolamento europeo Ce 834/2007. Poi ogni insegna può scegliere di informare il consumatore con la strategia che ritiene più idonea, per esempio i corner, le isole. Ma la cogenza di questi elementi deve essere chiara a tutti”.
“Occorre ricordare che il residuo zero è una peculiarità solo del prodotto biologico, mentre la dicitura residuo zero che viene riportata su alcune confezioni sta a indicare che non ci sono tracce rilevabili di prodotti chimici – ha concluso Paolo Pari – Ma questo non significa che non siano stati impiegati durante il processo produttivo”.