Non si abbassa la guardia dei viticoltori pugliesi, ma anche siciliani, e prosegue il confronto con la Regione Puglia perché l’uva invenduta e quella venduta a poco prezzo sono una realtà e il ristoro una promessa. La mobilitazione c’è, ma nell’incontro organizzato dai produttori riuniti nel Caut (nato circa un mese fa) non si è cercato un capro espiatorio, nonostante il titolo della manifestazione “Crisi del mercato agricolo o politiche sleali?”, quanto di condividere punti comuni tra i diversi protagonisti della filiera. Atteggiamento proattivo favorito dalla sede del confronto: l’università Lum di Casamassima.
I produttori tra mobilitazione e ricerca di un nuovo modo di fare uva
Antonella Nacherlilla, presidente Caut Puglia, sottolinea che c’è un tavolo in Regione che li aspetta per il progetto di sostegno ai produttori, ma parla degli obiettivi comuni che si sta dando la filiera e non solo gli oltre 400 produttori che hanno aderito al comitato nel periodo più nero di questa campagna tormentata.
“Hanno partecipato e si sono espressi dai piccoli ai grandi protagonisti del sistema, il mondo accademico e del commercio, e questo ha permesso di avere una visione completa del fenomeno. Abbiamo centrato l’obiettivo su questo fronte. Siamo tutti concordi: è necessaria l’innovazione, siamo arrivati in ritardo. Il mercato chiede nuove varietà, dobbiamo lasciarci dietro una gestione imprenditoriale individualista per lavorare insieme e presentarsi sul mercato con una unica impresa”.
Arrivano le tre parole che ripetono un po’ tutti: “Servono innovazione, aggregazione, comunicazione“. L’innovazione varietale? “L’obiettivo finale è produrre noi, ma il processo è lungo e mancano le risorse, in ogni caso dobbiamo spingere per la ricerca all’interno del territorio, così da non avere bisogno di relazionarci con chi detiene i brevetti. Chiedono il pagamento delle royalty che sono un costo importante”. Strada non facile.
Teresa Diomede: “Ripartire con la campagna 2023”
L’imprenditrice pugliese Teresa Diomede – che ha partecipato anche come coordinatrice regionale dell’associazione Le donne dell’ortofrutta – parte dai fatti: “E dalla crisi, soprattutto, che alcune settimane fa ha messo in crisi il settore. Ma bisogna ripartire con la campagna 2023 e vanno aiutati i produttori che sono stati vittime del mercato e degli eventi calamitosi avversi. Occorre poi pianificare le produzioni in stretta collaborazione con la grande commercializzazione e la Gdo ma non prima di esserci aggregati in varie forme. Essenziale la promozione a più livelli ma fatta bene e non solo a livello nazionale”.
A myfruit.it Diomede sottolinea la necessità di puntare su: “Aggregazione, promozione e comunicazione che in viticoltura scarseggia ed è poco efficace”. Invece quest’anno ha pesato “la mancanza di manodopera qualificata, fattore che ha determinato anche parte della produzione”. Interessante il suo caso aziendale, visto che vende soprattutto all’estero, in particolare Portogallo e Spagna. “Quest’ultima produce senza semi ma consuma con semi e apprezza la nostra uva. Con loro ci si può scontrare sui mercati internazionali, nel nostro arriva poca uva estera, principalmente da Grecia, Spagna, Portogallo. Sono poi presenti i Paesi del nord Africa a inizio stagione, noi abbiamo più margine a ottobre e novembre“. E poi il prodotto dall’emisfero sud.
Insomma è possibile avere un mercato con il tradizionale, “ma di qualità”, e aprire nuovi mercati: “Come ha fatto la Spagna in Thailandia. Ci sono diversi dossier fitosanitari da portare avanti”. Si può fare. Sulle varietà senza semi: “Io produco l’80% con i semi, il 20% senza, ma senza entrare nei club. In quel caso sei un produttore che conferisce e devi rispettare dei contratti particolari, ma io sono anche venditore. In tanti non amano questa forma”. Per questo è necessario lavorare sull’aggregazione, per ottenere più forza contrattuale.
Un mondo di competitori sempre più agguerriti
Il mercato dell’uva è in sofferenza. Si è ribadito nell’incontro. Le cause? Esterne ed interne. Come sottolinea Massimiliano Del Core (presidente CUT e di Confagricoltura Bari) è necessario stare attenti “a non cercare un capro espiatorio, le responsabilità sono diffuse”. La crisi è esplosa quest’anno ma si sente da tempo: “La filiera dell’uva da tavola pugliese e siciliana non è in crisi ora ma da tanto tempo sul posizionamento, l’innovazione, la ricerca, la comunicazione, il marketing territoriale. In crisi anche rispetto ad altri Paesi ed areali che sono diventati estremamente competitivi non solo per ragioni sindacali ed economiche ma perché hanno investito su questi fattori“.
Crescono i competitor, s’indebolisce l’Italia
La competitività della Spagna e di altri Paesi cresce, ma il problema è la debolezza crescente di quella italiana. Problema emerso e riconosciuto anche dai produttori. “Le nostre uve hanno perso domanda sul mercato, un fattore che ci ha visto miopi – sottolinea Del Core – abbiamo fatto poca innovazione e poca aggregazione. Quest’ultimo fattore sarebbe servito per essere più forti sui mercati anche con delle varietà che, sebbene tradizionali e poco adatte ai consumi di tendenza di oggi, comunque possono avere una loro nicchia e valore se comunicati correttamente, magari con il marchio di origine Igp e valorizzate nel gusto. Il settore invece si è concentrato sui volumi senza creare valore e attuare strategie che potevano consolidare e forse migliorare il posizionamento con apertura di nuovi mercati e maggiore penetrazione nei mercati esistenti”.