Saremo presto tutti più inglesi, almeno nel consumo di mirtilli, lamponi, more e ribes. Parlano i numeri delle vendite dei piccoli frutti nella Gdo per i primi cinque mesi del 2021: +27% alla Coop e +30% a Unes. Note più che positive per una categoria in crescita, ma poco conosciuta. Un faro sul fenomeno economico e culturale è stato acceso dall’Osservatorio Piccoli frutti curato da Thomas Drahorad (presidente Ncx Drahorad) che ha presentato il frutto di due anni di ricerche durante il webinar “Berry trend. Tendenze e futuro della categoria più accelerativa del reparto“. Hanno dato il loro contributo all’incontro moderato da Raffaella Quadretti, direttrice myfruit.it: Luca Cardamone, category manager Unes; Germano Fabiani, responsabile reparto frutta Coop Italia; Lorenzo Giacomelli, direttore commerciale Sant’Orsola; Thomas Drahorad, curatore Osservatorio Piccoli frutti.
Piccoli frutti: il 75% esente da difetti
Iniziamo dai numeri. Quelli raccolti, elaborati e studiati dal team guidato da Thomas Drahorad che dall’aprile 2019 vede i ricercatori, formati in modo specifico sul tema, monitorare la categoria piccoli frutti nei punti vendita della Gdo di 12 città del nord Italia, le regioni più rappresentative visto il minor consumo al centro e al sud Italia. Visite periodiche, ogni due settimane, in 15/20 siti commerciali per città durante lo stesso giorno. Si sono rilevati così prezzi, formati, esposizione, presenza o meno del prodotto. I risultati? Il 75 % dei piccoli frutti è esente da difetti, nel 17% del campione la qualità è discutibile, il 4% presenta difetti gravi e il 3% marciume. Si può migliorare.
I distributori ci mettono la faccia
Possiamo considerare le tendenze sui piccoli frutti come un movimento ovvero soggetto a innovazioni continue. Lo ha confermato Thomas Drahorad: “In due anni la situazione è cambiata velocemente, abbiamo visto nascere marche del distributore e si tratta di un buon segno. Vuol dire che ci mettono la faccia“. Bene, ma negli scaffali si registra un’ampia frammentazione: anche quattro/cinque brand di lamponi mentre c’è più stabilità con i mirtilli che nell’85% del campione vedono la presenza di uno o due marchi. Si cresce ma i piccoli frutti possono diventare grandi. Chiaro il riferimento di Thomas Drahorad: “In Gran Bretagna è la prima categoria dell’ortofrutta, stanno superando il miliardo e mezzo di euro di vendite. Il segreto si nasconde nella segmentazione, molto intensa rispetto all’Italia dove si ha un prodotto prevalentemente standard. In particolare mancano il segmento discount con prodotto di base che costa meno e un segmento local ovvero distinto per l’origine”.
Rottura di stock preoccupante: al 6,3%
Una delle maggiori criticità è la rottura di stock. “Un problema più intenso rispetto ad altre categorie, qui c’è da lavorare”. Dai dati rilevati per i mirtilli si arriva ad una percentuale del 6,3%. Un fenomeno preoccupante non solo per la perdita del 6% delle vendite, ma per l’esperienza negativa del consumatore. Un dato distintivo è l’alta variabilità del prezzo, oscillazioni rilevanti da 0,99 a 2,99 anche a pochi giorni di distanza. Ai grafici con andamento da montagna russa Thomas Drahorad contrappone quello con linea retta di Tesco: mirtillo da 125 grammi a 0,99 da novembre a marzo. Nessuna sorpresa per il cliente.
La storia lunga 42 anni di Sant’Orsola
Fino agli anni ’80 in Italia i piccoli frutti erano praticamente sconosciuti, almeno a livello di consumo, ma un gruppo di coltivatori del Trentino ha puntato bene le sue carte. Dallo zero con Sant’Orsola si è passati a 800 soci impegnati su 520 ettari per produrre 5.600 tonnellate di frutta e 65 milioni di fatturato. Evoluzione continua che due anni fa ha portato alla realizzazione di un nuovo stabilimento con 157 celle sotterranee e dotate della tecnologia più innovativa.
Passi avanti rilevanti quelli scanditi da Lorenzo Giacomelli, direttore commerciale Sant’Orsola che sottolinea i traguardi tagliati in quattro decenni: “Con il nuovo stabilimento ampliamo l’offerta dei servizi, abbiamo investito sulle rinnovabili con l’impianto fotovoltaico e stiamo diversificando le zone di produzione: 60% al nord, 40% al sud. La Gdo fa la parte del leone, poi il 30% arriva sui mercati ed esportiamo circa il 10% della produzione“. Il rapporto con la Gdo ha dato un forte impulso all’azienda: “Noi sappiamo tutto sulla produzione, sulla vendita ci affidiamo anche alle conoscenze del partner”.
Residuo zero e packaging sostenibile per i piccoli frutti
Uno degli obiettivi di Sant’Orsola è la sostenibilità del prodotto e del processo di produzione. “Valutiamo l’impatto ambientale della filiera – sottolinea Lorenzo Giacomelli – Pensiamo alla campagna residuo zero con un progetto realizzato in Sicilia dove si può fare del prodotto precoce. Il mirtillo si presta al residuo zero: abbiamo raccolto cinquemila quintali e ben duemila li abbiamo venduti a residuo zero e con una forbice di prezzo interessante, il 40% di valore a residuo zero. Inoltre abbiamo utilizzato una confezione da 125 grammi in cartone termoformato, anche se si tratta di una confezione costosa”.
Soddisfazioni meridionali: “Siamo riusciti a differenziare l’assortimento, quindi, aumenteremo la superficie che abbiamo al sud. Sono 50 ettari tra Sicilia e Calabria“. Le rotture di stock? “Ci stiamo lavorando in un campo sperimentale, in particolare siamo concentrati sul lampone, ma non sono risultati semplici da ottenere. Abbiamo sviluppato la filiera del lampone italiano, siamo quasi a 12 mesi, ma restano i problemi da dicembre a quasi febbraio, speriamo di risolverli con una nuova varietà. Sul mirtillo dobbiamo integrare l’offerta con una varietà più resistente al caldo”. Sulla sostenibilità ci sono novità: “Il progetto residuo zero ci ha dato possibilità di testare la carta, poi usiamo l’r-Pet che non è del tutto male visto che la frutta sta in cella e porta umidità. Sugli imballi alternativi dobbiamo stare attenti a non gravare troppo sul prezzo finale”.
Piccoli frutti alla Coop, ora in promozione
Giustamente Germano Fabiani, responsabile reparto frutta Coop Italia, mostra la confezione dei piccoli frutti Origine Coop, in questi giorni in promozione. “E’ la categoria più trainante: 1,5 milioni di chili per una 20ina di milioni di valore, un incremento del 9% nel 2020, un +45% nel 2019 e nei primi cinque mesi 2021 abbiamo registrato un +27% di incremento“. L’anno scorso la crescita ha subito un rallentamento durante il lockdown. “Noi abbiamo quattro referenze: lamponi, mirtilli, more e il tris, quello a marchio Coop è solo italiano“.
Un riferimento interessante di Fabiani è quello dedicato alla stagionalità: “Su questa categoria il consumatore è meno integralista e talebano. Quando manca il prodotto italiano non si registrano grandi mal di pancia. E’ un aspetto interessante per la crescita della categoria la non avversione al prodotto di importazione“.
Sui formati? “Siamo usciti l’anno scorso con i 200 grammi, ma avremo dovuto osare di più. Abbiamo registrato un grandi interesse anche in regioni sub-appenniniche che comprano meno i piccoli frutti. C’è anche il formato da 500 grammi e abbiamo fatto sperimentazioni con quello da un chilo“. Le criticità sulla segmentazione? “Sono d’accordo, manca e si può fare qualcosa di più. Auspico di lavorare oltre che sui contenitori anche sul contenuto, arrivando a chiamare il prodotto con nome e cognome“. C’è tanto da fare, ma come ripete Fabiani il consumo è costante, anche se ci sono i picchi, per circa 12 mesi l’anno.
Ottimi numeri anche da Unes
Velocità di crescita anche da Unes. I numeri li offre il category manager Luca Cardamone: “La settimana appena finita: +50% a valore, +80% a volume. Il peso totale sul reparto è al 10%. Se guardiamo da inizio anno: +50% a valore e +30% a volume e la categoria pesa per il 15%. I mirtilli sono nella top ten degli articoli più venduti con banane, limoni e carote“.
L’origine? “Sposiamo in pieno la provenienza nazionale, nel biologico abbiamo solo mirtilli italiani. Sul convenzionale nel periodo pieno, da adesso fino ad agosto, solo italiano e a luglio solo Valtellina. Da quest’anno abbiamo inserito anche il residuo zero. Puntiamo sul made in Italy, ma non sempre è possibile. Il consumatore nel fuori stagione acquista prodotto d’importazione senza problemi”.
Marchio Unes: ci prendiamo il tempo per non sbagliare
Cambiamenti anche sull’esposizione: “Dedichiamo delle vasche interamente ai piccoli frutti, prima andavano sul banco frigo, per dare importanza al prodotto”. Un marchio Unes? “Ci stiamo preparando, ma non sappiamo se tra uno o due anni. Ci prendiamo il tempo necessario per non sbagliare. Sui formati abbiamo ascoltato i clienti. Si sono aumentate le grammature in particolare per i mirtilli: 500 grammi nel fine settimana e il cliente è rimasto soddisfatto; poi il mirtillo residuo zero e biologico in cartoncino da 125 grammi, il 250 grammi per il convenzionale e stiamo valutando la cassettina/bauletto da un chilo“.