Gusto e salute. E non solo salute. Pietro Leemann, chef stellato del ristorante Joia di Milano, da 25 anni sulla scena, potrebbe tranquillamente essere considerato, e per molti lo è già sicuramente, un ambasciatore delle verdure. Forse il miglior ambasciatore possibile. «Già 25 anni fa preparavo piatti vegani nel mio ristorante, solo che non lo dicevo, altrimenti non li avrebbe ordinati nessuno». Oggi i tempi sono decisamente cambiati. L’occasione per ascoltare uno degli alfieri, se non proprio il pioniere dell’alta cucina vegetariana e vegana italiana, è stata la presentazione alla stampa di “The vegetarian chance” il festival in due tappe tra Svizzera e Italia che andrà in scena il 7 giugno ad Ascona, e poi a Milano, il 22, con un concorso nel quale chef non solo italiani si cimenteranno nella preparazione di piatti rigorosamente vegani.
«Oggi scrivo nel menu “Lasagna vegana” e tutti sono contenti». È in atto secondo lo chef svizzero una sorta di cambiamento che sta contagiando l’alta ristorazione, all’insegna delle verdure, tanto che «oggi ci si esalta per una insalata». Da contorno a elemento centrale nel momento di ideazione di un piatto. I motivi? Tanti, non scevri da mode ovviamente, e che si inseriscono comunque nell’oramai collaudato filone che comprende insieme concetti come quelli della sostenibilità e della biodiversità, oggi sicuramente di tendenza. A partire dall’Expo di Milano del 2015, nei confronti del quale però, sia Leemann che il giornalista Gabriele Eschenazi, coordinatore del Festival, non fanno mancare le loro critiche. «Si parla di vegetale, ma non di scelta vegetariana».
Ma non è solo una questione etica – «la cucina vegetariana è un’opportunità per sostenere e salvare il pianeta» ribadisce convinto Leemann – fondamentale in quella che per il nostro chef è proprio una scelta di vita, ma anche una più squisitamente di gusto. «La carne è succulenza e consistenza, non gusto. Il mondo vegetale, invece è gusto» asserisce convinto Leemann, non senza suscitare qualche dubbio tra i critici gastronomici presenti. «Si parte dal gusto per costruire un piatto vegetariano e non si cerca di imitare la carne». È una questione di equilibrio e ricchezza insieme, che secondo Leemann giunge solo utilizzando le verdure come elementi centrali di un piatto. «Un piatto tutto incentrato sul dolce e il salato è limitato dal punto di vista della salute e del piacere. Con le verdure, invece, abbiamo anche l’amaro, il piccante e l’acido».
Insomma, in un Paese, l’Italia, dove il consumo di ortofrutta è in parabola discendente oramai da anni e ben prima dell’inizio della crisi, e dove, rimanendo in tema ristorativo, la verdura è solo un contorno e la frutta è pressoché scomparsa da qualsiasi offerta di fine pasto, vedere uno chef deciso sostenitore della centralità in cucina di uno dei comparti più importanti dell’agricoltura italiana, può rappresentare un elemento più che positivo per tutto il settore. Una voce non squillata – qui non si celebra la “fighezza” dello scalogno come Carlo Cracco -, pacata e colta, ma certamente non secondaria. Una ventata di ottimismo per tutti quei produttori ortofrutticoli perennemente in cerca di idee e spunti per incentivare il consumo dei loro prodotti.