I prodotti con bollino Dop e Igp possono trovare un potente canale di distribuzione e valorizzazione nei mercati all’ingrosso. Visto l’aumento esponenziale della vendita on-line i centri agroalimentari vengono immaginati come piattaforme per l’ultimo miglio: un futuro da hub con il coinvolgimento dei grandi marchi del commercio on-line. Sono alcune delle idee e delle proposte che hanno animato il webinar organizzato dal Caab (Centro agroalimentare di Bologna) e di Fondazione Fico con la Regione Emilia-Romagna. Incontro che arriva il giorno dell’iscrizione della Dop “Mozzarella di Gioia del Colle” nel registro europeo, per la ministra delle Politiche agricole Teresa Bellanova: “L’Italia segna un ulteriore passo in avanti nella oramai consolidata leadership a livello comunitario e internazionale”.
L’ortofrutta Dop e Igp spedita dai grossisti
Le vendite on-line di ortofrutta stanno crescendo in modo esponenziale. “In tre anni l’e-commerce food ha fatto la corsa durata vent’anni per il biologico“. Parole di Claudio Scalise, direttore di SG Marketing, che sottolinea l’importanza di questo dato: “I mercati sono la piattaforme ideali per l’e-commerce perché vicini alle città e offrono un grande assortimento di prodotto tra cui Dop e Igp.
Cosa devono fare? Organizzare le flotte di trasporto compatibile”. Nei centri agroalimentari ci sono tutti i mezzi necessari per supportare l’organizzazione di questo canale di vendita sempre più cliccato dai consumatori. Il food delivery poi è sempre più consegna della spesa e si aspetta la discesa in campo dei grandi big mondiali della vendita al dettaglio. Scalise ha presentato alcuni studi dove emerge che i prodotti Dop e Igp per i grossisti sono importanti: “Occupano il terzo posto dopo primizie e prodotti a basso prezzo, sono altrettanto attrattivi per la ristorazione indipendente che punta sulla qualità”.
Al mercato come in un’aula per far conoscere i prodotti a ristoratori e dettaglianti
I mercati come luoghi di vendita certo, ma pure laboratori di alfabetizzazione ortofrutticola. “Sono i siti dove il prodotto si può spiegare ai ristoratori e al mondo hôtelière, un settore che può valorizzare questi prodotti – sottolinea Duccio Caccioni, direttore marketing del Caab -. Pensiamo alla comunicazione al dettagliante, oggi rappresentato da tanti esercenti anche stranieri, che devono conoscere il prodotto per poterlo spiegare”. Senza dimenticare l’accoglienza: “Anche le piccole produzioni come lo Scalogno di Romagna, coltivato su pochi ettari, qui potrebbero trovare gli spazi che non trovano, per mancanza di quantità, nella Gdo“.
L’ortofrutta con il bollino cambia varietà
Si tiene il luogo di produzione e il ceppo iniziale, ma alcuni prodotti Dop e Igp stanno cambiando la varietà per renderle più appetibili ai produttori. Un fenomeno illustrato da Alberto Ventura, funzionario dell’assessorato agricoltura Regione Emilia-Romagna. “Il riso del Delta del Po ha visto l’introduzione di varietà robuste, per l’asparago verde di Altedo si sono scelte quelle più utilizzate e moderne mentre sulla pesca nettarina di Romagna la modifica è in corso, non ancora approvata”. Non snaturare l’identità ma oltre la sostenibilità culturale ed ambientale si deve assicurare quella economica.
Più valore per l’ortofrutta Igp e Dop
Per essere più chiari: “Le prime dieci Igp e Dop italiane rappresentano l’80% del valore e nella lista non figurano prodotti ortofrutticoli“. Prevalgono formaggi e salumi mentre nell’ortofrutta: “Le mele sono il prodotto più importante – sottolinea il dirigente regionale – In Emilia Romagna è significativa la patata di Bologna mentre il melone mantovano produce i valori economici più alti”. Va bene la frutta di qualità ma come ha ricordato il presidente Caab, Andrea Segrè: “Siamo in una fase di food divide con un numero sempre maggiore, si stima in 5 milioni, di poveri alimentari assistiti. Erano due milioni prima del Covid. Sta diminuendo il reddito pro capite e ci si orienta verso il costo minore dei prodotti”.
Le donne dell’ortofrutta Dop e Igp con Melone mantovano e Anguria reggiana
“L’Igp non basta più“. Quasi una sentenza quella di Alessandra Ravaioli, consulente marketing strategico Cso, che sottolinea come all’estero, riferimento alle esportazioni, la tipicità sia percepita in modo completamente diverso: “Come viene riconosciuta in Italia non piace e non interessa minimamente agli europei”. Ci ricorda il produttore sardo che utilizzava la bandiera dei quattro mori per il mercato italiano, poi sostituita con il tricolore italiano quando vendeva all’estero. Solo punti deboli? Assolutamente no: “Il punto di forza è l’appartenenza di tutti ovvero tutti i produttori possono certificare i prodotti, basta rispettare il disciplinare”. La tipicità come bene comune. E democratico a sentire Francesca Nadalini, responsabile commerciale Op Sermide Ortofruit e titolare della omonima Azienda, che ha citato bei numeri sul Melone mantovano: “Siamo a 7.200 tonnellate, un incremento del 30%, coinvolgendo anche i piccoli produttori .Quando siamo partiti nel 2004 si faceva a gara nei paesi sulla qualità dei prodotti”. Un campanilismo nocivo, oggi superato: “I mercati sono stati la piattaforma di valorizzazione, perché hanno permesso l’ingresso anche dei piccoli produttori che hanno potuto utilizzare come chiave il marchio Igp”.
L’Anguria reggiana è stata l’ultima ad entrare nel club Igp e non è facile: “Si fa fatica a coprire i costi, la produzione per ettaro è circa la metà rispetto al prodotto classico”. Patrizia Manghi, responsabile Sal Frutta, vede però il bicchiere mezzo pieno: “Noi abbiamo anche una presenza fisica al mercato ortofrutticolo di Parma ed è una buona esperienza. L’Igp dai clienti è considerato importante per la tracciabilità soprattutto oggi che si sente la mancanza di professionisti con esperienza e buona conoscenza dei prodotti”.