La filiera ortofrutticola analizzata da un profondo conoscitore del sistema. Virgilio Massaccesi, da 35 anni direttore commerciale dell’azienda Ortenzi (Oro della Terra) di Macerata, conosce bene l’ortofrutta (“un prodotto vivo”) e le variabili quotidiane che gli operatori devono affrontare. Ne ha scritto di recente sul suo profilo Linkedin e myfruit.it le ha approfondite con lui.
“L’ortofrutta non si lascia imbrigliare in metodiche standardizzate, obbliga a fare i conti con la realtà e se non si è proattivi si perde la partita – esordisce – Dare per assunto che nella settimana di Pasqua ci debba essere la promozione sulle fragole fa comprendere come il problema non sia il buyer di turno, ma la presunzione di gestire il prodotto ortofrutta come un dentifricio”.
In questi giorni di emergenza coronavirus, in molti hanno chiesto un nuovo rapporto con la produzione per arrivare alla valorizzazione del prodotto nazionale. “Alcuni gruppi – precisa il manager – hanno dato ordine di acquistare solo prodotto italiano, dando prova di una grande confusione. È velleitario pensare che il prodotto italiano riesca a soddisfare tutte le esigenze del consumatore moderno, oggi avremmo mancanza di prodotto e prezzi proibitivi per la maggior parte dei consumatori. Un altro tema caldo è la qualità. Fare qualità è un percorso che richiede tempo e investimenti, nella nostra azienda abbiamo produttori che collaborano con noi da oltre 20 anni, conoscono le nostre necessità e si sono adeguati nel tempo a lavorare secondo i nostri standard. Pensare che un agricoltore giri l’interruttore e faccia qualità dall’oggi al domani è puro esercizio dialettico”.
Insomma, se si vuole cambiare passo e ridare speranza al settore ortofrutticolo per Massaccesi serve una ristrutturazione dell’intera filiera. E, in particolare: “Serve un nuovo approccio al fornitore, sempre più un partner strategico e differenziante nei confronti della concorrenza; servono programmi di produzione mirati a avere ciò che serve al mercato (banale, forse, ma non scontato) con particolare attenzione agli standard qualitativi e, pert qaunto riguarda l’innovazione varietale, serve la seria valutazione dei nuovi genotipi. Solo pochi dovrebbero raggiungere la fase commerciale, invece siamo inondati da decine di nuove varietà che si rilevano colossali flop e generano nel consumatore una confusione pazzesca. L’innovazione deve divenire parte attiva dei processi produttivi”.
Non solo. Perché, sempre secondo Massaccesi, serve coinvolgere il consumatore al di fuori delle obsolete e dannose promozioni sul taglio prezzo; come serve ridare dignità e una giusta retribuzione ai lavoratori delle campagne. “Se pensiamo che i percettori di reddito possano sostituire la manodopera che, italiana o straniera, ha comunque acquisito nel tempo competenze che non si improvvisano siamo fuori strada – prosegue Massaccesi – Servono aziende agricole strutturate e di adeguate dimensioni che siano dedite alla produzione e non alla semplice commercializzazione sotto le false spoglie di produttori”.
Ma anche la logistica dei prodotti va rivista. “La centralizzazione degli acquisti è un collo di bottiglia che ha preteso di standardizzare la proposta commerciale a livello nazionale, accorgendoci poi che l’Italia ha usi e consuetudini molto diversi da zona a zona. Per non parlare della necessità di un controllo reale sull’origine dei prodotti, non è più tollerabile che prodotti come clementine, fragole, patate, arance, kiwi e altri siano commercializzati come italiani anche se di diversa origine“.
Massacesi pensa anche l’Europa: “Servirebbe indirizzare i fondi agricoli europei a chi fa progetti di sviluppo della filiera reali, basta con i contributi a pioggia, distribuiti tanto per non perdere i fondi europei a soggetti che producono solo carta. I fondi non distribuiti potrebbero essere impegnati per gestire le situazioni di crisi sempre più frequenti. Bisogna avere la consapevolezza che nel futuro non ci sarà spazio per tutti, che siano produttori, distributori, confezionatori, organizzazioni agricole e così di seguito. Vincerà la dura legge dei grandi numeri, se non ci si aggrega si scompare”.
“Servono persone che abbiano competenze specifiche con forti doti di leadership in grado di orientare il cambiamento e in grado di formare una nuova generazione di manager dediti con passione (e onestà) alla gestione del prodotto ortofrutta. Competenze che si acquisiscono solo con tanta esperienza sul campo, anche nel senso letterale del termine. Dopo decenni di convegni, analisi inconcludenti e fiumi di parole – conclude Massaccesi – è tempo di passare dal dire al fare disegnando un nuovo modello di sviluppo, altrimenti dell’ortofrutta italiana rimarranno solo i ricordi”.