Nonostante anche all’ultimo Macfrut di Cesena sia stato sottolineato come tra denominazioni di origine (DOP e IGP) e settore ortofrutticolo non sia mai nato un vero amore, al tempo stesso si è anche detto che in alcuni casi questa certificazione può rappresentare un motore non solo morale, ma anche economico per un prodotto e il suo territorio di origine. Un caso è certamente rappresentato dal famoso fungo di Borgotaro IGP. E alcuni numeri servono a comprendere come il giro d’affari generato dagli appassionati della raccolta dei porcini di questa bella zona dell’entroterra parmense non sia certo di secondo piano: basti pensare che solo l’anno scorso l’incasso dalla vendita dei tesserini per poter accedere alle dieci riserve del comprensorio ha generato un incasso di poco più di 900mila euro – riscossi dalla Comunità Montana Ovest – per un totale di 61.513 biglietti staccati. Il Consorzio, secondo quanto riporta il blog Evaso.it, stima un giro d’affari complessivo intorno ai 3/4 milioni di euro.
Non stupisce leggere, allora, sulla Gazzetta di Parma di una sorta di vera e propria “guerra del porcino” che si sarebbe scatenata tra il Consorzio che difende questa giovane denominazione – riconosciuta nel 1993 dal Ministero e nel 1996 dalla Comunità Europea – e il comune di Bardi. Il suo sindaco, infatti, Giuseppe Conti, pretende di far includere il suo territorio nella zona che tutela questa leccornia autunnale. Si combatte a colpi di documentazioni storiche e analisi micologiche. Il Sindaco, che si è visto respingere la prima richiesta, ha infatti presentato all’ente un’ulteriore documentazione che, oltre ad attestare come nella zona di Bardi esistano fonti storiche risalenti a 200 anni fa che indicano il territorio come ricco di funghi porcini, comprende anche lo studio del gruppo micologico «Passerini» di Parma che nega che vi siano differenze tra il porcino della Valceno e quello della Valtaro.
Fonte foto: Comunicazionescientifica.eu