Tra il settore ortofrutticolo e le denominazioni di origine, Dop e Igp, non è mai scoppiato un vero e proprio amore. Come ha sottolineato Tiberio Rabboni, assessore all’agricoltura della regione Emilia-Romagna, all’interno di un convegno dal titolo “Dop e Igp: prodotti di qualità: il motore del sistema ortofrutticolo nel mondo” che si è tenuto a Cesena durante l’ultima edizione del Macfrut, è forse il caso di aggiungere un punto di domanda: «perché sono sicuramente un motore “morale ma, almeno nel nostro Paese, non lo sono ancora in campo economico, produttivo e commerciale, se non in pochi casi”».
A Cesena, durante il Macfrut, Giuseppe Pasciuta, presidente del Consorzio di Tutela Arancia di Ribera di Sicilia, ha tracciato un bilancio più che positivo di questi primi anni di Dop: «Siamo passati da 65mila chili di prodotto certificato a 3 milioni nel 2012 e quest’anno contiamo di chiudere a quota 5 milioni. La Dop non è stata fittizia ma una scommessa che sta portando buoni frutti». È migliorato il packaging delle confezioni e il numero degli operatori che al momento aderiscono alla Dop sono 150. «Se ne aggiungeranno altri 50, ma dobbiamo però migliorare nel numero di quelli che poi effettivamente commercializzano prodotto certificato che, al momento, sono solo 45».
Eppure, come conferma Pasciuta, in zona c’è quasi un rinnovato fermento, che lascia ben sperare, poiché si stanno reimpiantando agrumeti e avvicinando a questa antica coltura anche molte giovani leve rispetto al passato. Ma cosa frena i produttori, pur avendone i requisiti, a produrre sotto il cappello della Dop? «Sostanzialmente la burocrazia. E poi i controlli. La normativa non differenzia tra errori burocratici, tra un certificato errato o un registro mal compilato e magari chi produce prodotto realmente falso. La multa è sempre di 50mila euro. Sono comunque ottimista e uno degli obiettivi del Consorzio è sarà quello di continuare sulla strada della valorizzazione sul nostro territorio del valore della Dop».