Che i grandi, in termini di superfici, prima o poi avrebbero cominciato ad entrare in gioco in modo più consistente era probabilmente prevedibile vista la crescita imperiosa del business che ruota intorno al biologico. Ma se fino ad ora questo era ben visibile soprattutto nella distribuzione moderna, ora sembra stia cambiando qualcosa anche sul fronte produttivo.
Al Sana di Bologna, che quest’anno ha spento le 30 candeline, il settore ha come ogni anno fornito svariati numeri e indagini che ben fotografano quello che continua ad essere il grande indiscusso protagonista dei consumi alimentari da qualche anno a questa parte.
E la prima fotografia, come di consueto, viene fornita dal Sinab, il Sistema di Informazione Nazionale sull’Agricoltura Biologica, che dona forse i dati più oggettivi e inconfutabili del settore, vale a dire quelli relativi a superfici, operatori e colture. Le prime salgono del 6,3% nel 2017 (1.908.653 ettari), del 5,2% invece è la crescita degli operatori (75.873).
“Quando abbiamo le superfici che crescono più degli operatori significa che sta aumentando la dimensione media aziendale”
ha sottolineato Francesco Giardina, evidenziando come il biologico stia diventando sempre più un comparto ad appannaggio delle medie e grandi aziende rispetto a quelle più piccole. Un tema, quest’ultimo, che potrebbe aprire dibattiti infiniti tra pro e contro di un comparto che premia e premierà sempre di più chi riesce ad avere dimensioni all’altezza delle richieste del mercato. Ma c’è anche il nodo burocrazia che, come ha ricordato il coordinatore del Sinab, “pesa soprattutto sulle piccole aziende”.
Un altro indicatore che continua a salire, e forse è anche il più significativo, è la percentuale di superficie agricola biologica rispetto a quella totale in Italia: sale al 15,4%, ed è un dato sempre più importante, che pone l’Italia poco sotto Svezia e Austria, ma decisamente più in alto rispetto a Spagna (8,7%), Germania (7,5%) e Francia (5,5%).
Dal punto di vista regionale il Sud è come al solito trainante a livello di superfici, ma la novità è che crescono nella produzione regioni del Nord un tempo sbilanciate soprattutto sulla trasformazione, come il Veneto ad esempio, mentre, viceversa, alla voce trasformatori ed esportatori si vedano salire significativamente Puglia e Sicilia.
Tra le colture spiccano gli incrementi delle superfici di un po’ tutte le colture dell’universo ortofrutticolo: +25% le orticole, +17% la frutta a guscio, +10% gli agrumi, +13% la frutta, e non a caso osservando l’incidenza della Sau per tipo di coltura, anche in questo caso agrumi (31%) o ortive (22%) sono al di sopra della media nazionale.
Consumi sempre sostenuti, prima flessione nello specializzato
Sul fronte dei consumi si apre invece un capitolo più complesso, come ha evidenziato questa volta Riccardo Meo di Ismea nel mostrare alcuni dati del comparto, poiché non è più facile rendere omogeneo un quadro ricco di fonti differenti e a volte non completamente in accordo tra loro. Ismea cita i dati di Nielsen, che già qualche mese fa avevano (vedi qui) evidenziato, in Gdo, una crescita del biologico nel primo semestre del 2018 dell’11,5%, con una flessione di frutta (-1%) e ortaggi (-2,9%), parliamo di prodotti a peso imposto, che comunque rappresentano le due referenze più importanti dell’intero comparto biologico (42,9%). In generale, considerando tutti canali di vendita, il bio cresce del 6,5%, un dato molto positivo confrontato con l’alimentare in generale, praticamente immobile.
E a proposito di canali di vendita fa riflettere la flessione del canale specializzato che, per la prima volta, vede comparire il segno meno, con una perdita 3 punti percentuali di vendite nella prima metà del 2018 (865 milioni di euro il giro d’affari) contro 1,2 miliardi della Gdo che invece, sempre a parità di periodo, cresce del 5,3%. Una flessione che, secondo Silvia Zucconi di Nomisma, è congiunturale e riflette la difficoltà di questo storico canale a contenere l’avanzata della distribuzione moderna.
Oggi, tra negozi indipendenti e aggregati a catene più grandi, in Italia esistono 1437 (+1% vs 2017) punti vendita con superfici medie che vanno dai 100 ai 230 metri quadrati, nella stragrande maggioranza dei casi situati nel Nord Italia (60%). Il numero di referenze, uno dei punti di forza di questo canale, nel caso degli store più strutturati arriva ad una media di 3283 con fresco e freschissimo che pesano ben il 34% e l’ortofrutta che recita un ruolo fondamentale tanto da essere una delle categorie che cresce di più (vedi Monitor F&V).
Ma come interpretare la battuta di arresto di questo canale, che pesa il 24% nelle vendite del biologico (la Gdo il 45%) e continua a rappresentare un punto di riferimento fondamentale per molti amanti del bio? “Sono cambiati i tempi” ha osservato Roberto Pinton, segretario di AssoBio. “All’inizio della nascita del biologico gli specializzati facevano tante iniziative per spiegare i prodotti ai consumatori, in un periodo nel quale internet non c’era. Oggi, lo specializzato si è un po’ dimenticato di quell’attività di radicamento con il consumatore, che comunque è sempre superiore rispetto alla Gdo”. Anche per quanto riguarda il livello di formazione del personale presente in questo canale, soprattutto dei più giovani, Pinton è dubbioso. “Altrove, all’estero, hanno corsi certificati, da noi esistono solo forme autorganizzate”. Nonostante alcuni punti critici da migliorare, secondo il segretario di AssoBio la stabilizzazione della rete e delle superfici di vendita porta inevitabilmente ad una frenata delle vendite.