Produrre con metodi biologici non basta più, l’ecocompatibilità di un alimento ora si misura in miglia. I primi a sostenerlo sono stati gli inglesi che hanno introdotto il “food miles”, cioè il concetto di distanza percorsa da un alimento per arrivare dal luogo di produzione a quello di consumo per esprimere l’entità dell’impatto che il suo trasporto ha sull’ambiente.
In pratica, se un prodotto biologico, ad esempio una mela, fa migliaia di chilometri prima di arrivare al punto vendita, finisce per inquinare e consumare risorse energetiche in misura anche maggiore rispetto a una mela convenzionale ma venduta vicino al luogo di produzione.
Ora l’idea sta prendendo piede anche in Italia, soprattutto perché la coscienza ambientalista dei consumatori, non solo di quelli che si rivolgono agli alimenti biologici, sta crescendo di pari passo con l’aumentare dell’inquinamento e la diminuzione delle risorse naturali.
Per avere un’idea, basti sapere che l’agricoltura è responsabile solo del 20% dei consumi energetici necessari a produrre e portare un alimento sui banchi di vendita, mentre il trasporto e la logistica incidono per oltre il 30% sui costi sostenuti dalle imprese agroalimentari italiane.
La nuova tendenza è così quella di prestare maggiore attenzione al luogo di origine dei prodotti, con una rinascita degli acquisti direttamente in azienda o nei mercatini degli agricoltori. Oltre al vantaggio ambientale spesso si ottiene un ulteriore doppio vantaggio economico: per il consumatore prezzi più bassi, per il produttore una maggiore remunerazione delle proprie produzioni. (m.c.s.)
Il biologico si perde per strada
Se vengono da troppo lontano i prodotti bio inquinano più di quelli convenzionali
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