Non è più tempo di agricoltori orticoli in Sardegna. Almeno a queste condizioni visto che in 15 anni l’isola ha visto dimezzare gli ettari dedicati. In cifre: dai 24.509 del 2006 ai soli 11.838 del 2021 con una perdita di 12.700 ettari.
Una perdita economica, sociale e culturale di forte rilievo che ha spinto gli imprenditori agricoli sardi a siglare un patto con quattro insegne della Gdo (Crai – Abbi Group, Superemme, Nonna Isa, Conad Sardegna) e i grossisti del mercato agroalimentare della Sardegna. Il documento sarà consegnato ai presidenti della giunta e del consiglio regionale, agli assessori all’Agricoltura, Turismo, Programmazione e Trasporti, ai presidenti della V e III Commissione della Regione Sardegna.
Andata in fumo il 36% della produzione orticola
In questi terribili 15 anni il settore rappresentato da circa 4.200 agricoltori oltre a perdere il 52% degli ettari ha registrato la riduzione del 35,8% della produzione. In cifre: da 391.456 tonnellate del 2006 alle 251.162 tonnellate del 2021 mentre il valore della produzione è sceso a 290 milioni contro i 324 realizzati nel 2006 per una perdita pari al 10%). Analizzando questi numeri emerge che il settore orticolo conta meno sul totale dell’agricoltura isolana: oggi al 19,32% contro il 23,8 del 2006. La situazione è grave.
La risposta? Fronte comune con la Gdo
Non scorre sempre buon sangue tra Gdo, mondo dell’ingrosso e produttori. In questo caso, invece, si è formata un’alleanza, con la società di Coldiretti Filiera Italia, per ottenere risultati utili a tutta la filiera. In concreto? Si punta a finanziamenti per sviluppare l’agricoltura di precisione e la formazione e specializzazione della manodopera sempre più difficile da trovare. Ma il punto sicuramente più interessante è la programmazione produttiva concordata con protocolli specifici tra grande Distribuzione organizzata, ingrosso e produttori. In questo modo il produttore ha più sicurezza e, per quanto possibile, si produce quello che chiede il mercato.
Continuità territoriale anche per le merci e marchio ombrello
Vista l’insularità il tema della logistica è fondamentale in Sardegna e per questo, sull’esempio e il modello della mobilità scontata per nativi e residenti, si vuole puntare a “percorsi di continuità territoriale delle merci per sopperire ai maggiori costi sopportati dalle aziende sarde nell’esportazione del prodotto”. Soprattutto in tempi di caro energia.
Agli ostacoli strutturali e di lunga data dell’agricoltura sarda si associa anche la debolezza della promozione dei prodotti isolani. Su questo punto gli imprenditori chiedono “un marchio-ombrello utilizzabile da tutta la grande distribuzione organizzata (sempre all’interno del piano di filiera)”. Infine, quando si realizza una extraproduzione, “la possibilità per tutto il sistema ortofrutticolo di realizzare – anche attraverso il sostegno della Regione ed il ricorso a fondi europei – impianti di trasformazione di prodotti agricoli, anche per diversificare l’offerta”.
L’opportunità per unire tutta la filiera: “I sostegni però sono rattoppi”
“Questa occasione in cui è riunita la filiera – sostiene il presidente di Coldiretti Sardegna, Battista Cualbu – diventa una straordinaria opportunità per costruire processi integrati per la nostra agricoltura. Nei momenti di difficoltà sono necessari i sostegni, ma dobbiamo avere coscienza che si tratta solo ed esclusivamente di un rattoppo. La Sardegna ha bisogno di altro, per questo abbiamo elaborato una piattaforma su cui dare solidità e sostanza a tutti gli attori della filiera che impegni le istituzioni, e quindi la Regione, a costruire un supporto perché la filiera Sardegna possa realmente decollare, attraverso una programmazione produttiva che preveda il sostegno alle imprese con l’agevolazione sui trasporti e gli investimenti sulla promozione del prodotto Sardegna”.
“È fondamentale costruire protocolli produttivi tra filiere affinché la Regione possa costruire attorno tutti questi percorsi – evidenzia Luca Saba, direttore di Coldiretti Sardegna -. Inoltre occorre pensare, in stagioni come queste, a come gestire il surplus produttivo, magari attraverso un sostegno mirato ad uno stabilimento che possa assorbire le merci fresche in eccesso trasformandole”.