Al 14esimo posto (su 27) per i ricavi medi e al 16esimo per la sostenibilità. Settimo per innovazione e quinto per richieste brevetti
Frammentazione eccessiva e conseguenti ricavi medi limitati. E’ questa la fotografia che The European House -Ambrosetti (Teha) ha scattato al settore agroalimentare italiano.
Il quale, nella classifica generale europea, si colloca solo al 14esimo posto (su 27) in termini di ricavi medi delle aziende: tre milioni vs la media Ue di 5,3, un terzo di quelli tedeschi, la metà di quelli spagnoli.
L’Italia sotto la media Ue
La filiera agroalimentare genera 67 miliardi di valore aggiunto, il che significa il 3,8% del Pil (Prodotto interno lordo). Un dato che risulta inferiore alla media europea, che è pari al 4,1 per cento.
Non va meglio lato produzione: se in Italia la media per addetto è di 45mila euro, in Europa la media è di 52mila. E nella parte alta della classifica, la cosiddetta top10 Ue, si raggiunge quota 80mila. Per allinearsi a questo valore, secondo Teha, l’Italia dovrebbe più che triplicare la dimensione media delle imprese del settore agroalimentare.
La frammentazione limita lo sviluppo
Infatti, argomenta Teha, è l’elevata frammentazione del settore a essere il principale fattore critico che ne limita la competitività e l’export.
Non solo; a pesare sullo sviluppo del settore ci sono anche l’inflazione – quella alimentare a fine 2022 ha raggiunto l’11,8 per cento – e le perdite economiche pro capite dovute ai cambiamenti climatici, le quali sono quasi il doppio rispetto alla media europea.
Il Food sustainable transition index
Anche sul fronte della sostenibilità emerge l’affanno dell’agroalimentare italiano a stare al passo. A dirlo è il Food sustainable transition index, un indicatore che analizza il livello di sostenibilità e di circolarità della filiera agroalimentare, basato sull’analisi di quattro pilastri e cioè sostenibilità economica, ambientale, sociale e innovazione.
L’Italia, sempre a confronto con i 27 stati membri, si posiziona al 16esimo posto: a penalizzarla è l’elevata vulnerabilità della filiera agli impatti climatici.
Va precisato, però, che sul fronte dell’innovazione l’Italia si posiziona bene: è al settimo posto della classifica generale, ed è quinta per richieste di brevetti nel settore alimentare, 69 contro la media europea di 39.
Sono invece bassi gli investimenti pubblici destinati alla ricerca e sviluppo nel settore agricolo: 5,2 euro pro-capite (17esimo posto), contro i 7,6 di media europea.
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