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La IV gamma chiude il 2020 con un valore complessivo di 814 milioni

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Autore Redazione

Dopo un inizio d’anno in salute, la pandemia ha messo duramente alla prova il settore che chiude con -7% a valore e -4,5% a volume

Secondo le rilevazioni di mercato Nielsen, il settore della IV gamma ha chiuso il 2020 con un valore complessivo pari a 814 milioni di euro, il 7% in meno (a valore) rispetto al 2019 e il 4,5% in meno a volume. Numeri che fotografano tutta la difficoltà di un anno unico nel suo genere, che ha messo a dura prova anche il comparto della IV gamma.

L’effetto lockdown

Durante i mesi del primo lockdown, le aziende di IV gamma hanno messo in campo sforzi straordinari per garantire regolarmente gli approvvigionamenti dei prodotti sul punto vendita, coscienti del ruolo cruciale e indispensabile che la filiera agroalimentare riveste nel suo complesso. L’arrivo della fase due poi, se ha concesso da un lato un leggero recupero dei volumi nell’ambito del retail al termine dell’estate, dall’altro ha evidenziato due problematiche importanti: la ripresa ancora graduale del canale Horeca e l’aumento dei costi fissi, legati a tutte le disposizioni di sicurezza da attuare. Tutti gli sforzi, anche economici, si sono poi scontrati con un mutato comportamento d’acquisto del consumatore.

“Senza dubbio, la pandemia che ha colpito il mondo nel 2020 ha influito sulle abitudini di consumo degli acquirenti. Abbiamo visto alcuni segmenti soffrire particolarmente, come quello delle ciotole pronte all’uso o degli estratti“, commenta Cristiano Detratti, direttore generale di Ortoromi, azienda associata al Gruppo IV gamma di Unione italiana food. La frequenza di visita ai punti vendita, fortemente ridotta durante il lockdown, infatti, non è tornata a come era prima della pandemia e il prosieguo della tipologia di lavoro in smartworking ha continuato a causare la “sofferenza” dei prodotti ready to eat, principalmente consumate dai lavoratori “da ufficio”.

“Nonostante le difficoltà, tutte le aziende del comparto si sono adattate su più fronti a questa nuova realtà – conclude Detratti – che ci ha costretto a nuovi approcci e nuove consapevolezze, anticipando, laddove possibile, il mercato con proposte che rispondono alle esigenze del consumatore attuale, sempre con un occhio di riguardo alla selezione delle materie prime e al tema della sostenibilità”.

Seconda ondata, seconda frenata

Se nel mese di settembre il settore aveva fatto registrare una lieve ripresa, è arrivata una nuova brusca frenata con la seconda ondata dell’emergenza sanitaria e le conseguenti disposizioni ministeriali che si sono protratte fino a fine anno. Fortunatamente il 2021 è iniziato con il piede giusto: le insalate in busta, infatti, la categoria più importante dell’aggregato con 653 milioni di euro in valore, hanno registrato a gennaio -2,2%, in netta ripresa rispetto al -4,3% di dicembre.

Per continuare a performare bene nel corso dell’anno, a prescindere dall’evoluzione della pandemia, è importante tenere in considerazione molteplici aspetti, tra cui la soddisfazione del consumatore finale e la transizione verso un sistema agroalimentare sostenibile, sano ed equo, così come indicato dal Farm to fork a cui contribuiscono anche le aziende associate a Unione italiana food IV gamma.

“Sostenibilità è un concetto diventato centrale ormai in ogni ambito ma a volte anche usato impropriamente. La vera sostenibilità è la capacità di equilibrare gli aspetti sociali, economici ed ambientali e a nostro avviso l’unica modalità di lavoro, il pilastro sul quale le aziende per continuare ad esistere dovranno fondare la propria cultura e le strategie – commenta Giancarlo Boscolo Sesillo, presidente di Cultiva, azienda associata al Gruppo IV gamma di Unione italiana food – La IV Gamma è nata basandosi su questi requisiti grazie ai disciplinari e alle certificazioni necessarie per poter operare ai massimi livelli con la moderna distribuzione. Oltre a ciò, può essere una forte leva competitiva in quanto, in accordo a recentissime analisi di mercato di Osservatorio packaging del largo consumo, si rileva che 2 italiani su 3 privilegiano prodotti sostenibili e 7 su 10 sono disposti addirittura a cambiare il negozio in cui fanno la spesa alimentare in favore di punti vendita che offrono prodotti che rispondono a requisiti di reale sostenibilità. Inglobare questo concetto nelle strategie aziendali sarà sicuramente la chiave per poter aumentare i volumi di una categoria che ormai rileva indici di penetrazione altissimi (circa 80%) ma ancora bassi consumi medi ed una frequenza di acquisto fortemente penalizzata dalle nuove abitudini indotte dalla pandemia”.

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