Vogliamo essere considerati industria del commercio ed essendo industria facciamo anche la marca. Siamo passati da essere considerati private label a marca del distributore”.
Se la Marca del Distributore nazionale guarda ancora dal basso verso l’alto le quote che i colleghi della Gdo estera hanno nei rispettivi mercati interni, sul fronte dell’orgoglio e della consapevolezza del proprio peso all’interno dell’economia nazionale, non c’è ormai nessun senso di inferiorità.
Nel suo discorso iniziale che ha aperto la 14esima edizione di Marca, all’interno del primo incontro inaugurale, Giorgio Santambrogio, presidente di ADM, ha più volte sottolineato il ruolo da protagonista che si è ormai ritagliato questo mondo, indipendentemente dai numeri che, comunque, sono tutti con segno positivo.
Per la prima volta in Italia, infatti, i prodotti MDD hanno superato quota 10 miliardi di ricavi (+206% rispetto ai 3,2 miliardi del 2003) raggiungendo una quota di mercato del 18,5% (+7,7% rispetto al 2003) e una proiezione sul 2017 intorno al 18,7%.
Certo, se guardiamo le quote che i prodotti a marchio hanno in Germania (34%), in Francia (33%), Spagna (34,1%), Paesi Bassi (40,1%) e Regno Unito (41%), il gap appare difficilmente colmabile, anche nella previsione di superare il 20% nel 2020.
Ma l’obiettivo principale del convegno e soprattutto del voluminoso “Position Paper” (clicca qui per scaricarlo) preparato da The European House – Ambrosetti e presentato nei suoi punti salienti dal suo managing partner & Ceo Valerio De Molli , era l’analisi di questo settore secondo il modello dei “Quattro Capitali”, scandagliando il contributo economico, sociale, cognitivo e ambientale che i prodotti a marchio hanno generato per il Paese. E lo scenario che è emerso, in questo caso, è quello di un settore che ormai può guardare l’industria privata di marca senza alcun senso di sudditanza. Anzi.
Se l’industria privata di marca è cresciuta del 18% nell’ultimo anno, l’MDD del 24%: genera un valore aggiunto “esteso” di 10,2 miliardi di euro ed ha un moltiplicatore economico pari a 2,6: significa, quindi, che ogni 100 euro di valore aggiunto generato dalla Marca del Distributore se ne attivano 260 nell’economia. Dietro i prodotti a marchio c’è una filiera molto stratificata e complessa che coinvolge 50 settori, 1550 imprese copacker, il 38,3% delle quali sono piccole e il 91,5% italiane. 10 anni fa i contratti erano nella maggior parte dei casi a breve termine mentre oggi il 98% sono oltre i due anni e il 47% oltre gli otto anni.
Per quanto riguarda l’occupazione, l’MDD impiega, lungo tutta la filiera, oltre 200.000 persone, il 18% delle quali hanno meno di 30 anni (+50% rispetto alla percentuale media italiana) e il 62% di sono di sesso femminile (+48% rispetto alla percentuale media italiana).
Tra i motivi di successo che lo studio preparato da The European House – Ambrosetti ha evidenziato vi è l’essere passati da una posizione “tattica” con un ruolo quasi di mera “marcatura” rispetto all’industria di Marca, ad una invece da vera e propria Marca, attenta all’innovazione, diversificata e decisamente premium (rispetto alla quota del 9% del 2011, oggi i prodotti MDD premium valgono il 13%)
Che fare ora? Oltre a consolidare quanto già costruito e naturalmente continuare a crescere, si tratta ora di far valere le proprie ragioni anche davanti alla politica. Secondo il presidente di ADM bisogna, di fatto, “alzare la testa” come categoria. “L’industria del commercio è sana e vuole delle regole chiare di concorrenzialità identitiche rispetto ad Amazon -ad esempio, ha concluso Santambrogio con tema già sollevato alla fine dello scorso anno. Insomma, di carne al fuoco, in effetti, ce n’è moltissima, sia nel dettagliato studio presentato a Bologna, che evidenzia i tanti valori di cui l’MDD è portatrice, sia nelle cose da fare nel prossimo futuro per riuscire ad essere considerata un interlocutore fondamentale, come di fatto lo è già, dell’economia nazionale.