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Anche in Veneto si guarda sempre più alla frutta secca

noci

Anche tra i produttori agricoli veneti si guarda con sempre maggiore interesse al comparto della frutta secca. A confermarlo una volta di più è un recente servizio del quotidiano Corriere del Veneto, che scrive come una tendenza in atto nella provincia di Verona sia quella di dismettere colture anche di pregio, come pesche, ciliegie e kiwi, per iniziare colture più remunerative, come appunto noci e nocciole, accanto ad altre alternative come ad esempio il bambù o le…lumache.

Scrive tra l’altro il quotidiano: “Il bambù è una delle possibili alternative che Confagricoltura ha suggerito in un convegno agli agricoltori veronesi che per ragioni economiche (scarsa redditività, soprattutto) o semplicemente per provare qualcosa di nuovo vogliono dare una svolta alla propria attività. «L’agricoltura cambia ad un ritmo molto più lento rispetto alla società in cui viviamo», riflette Piero Spellini, di Villafranca. Lui ha una decina d’ettari di frutteto, coltivato a mele e pere. «Ci sono varietà, come la Golden, che non è più sostenibile fare qui: troppa la concorrenza delle mele della Val di Non», racconta. Ecco che, negli ultimi tempi, ha iniziato a espiantare i meli e sostituirli con piante di more. «Volevo qualcosa che mi garantisse un ritorno piuttosto rapido, io ho 79 anni, in questo campo ci sono colture che richiedono almeno sei o sette anni per dare i primi risultati». Colture come le noci e le nocciole: sono queste le varietà suggerite per chi vuole cercare di ricavare qualcosa di più dai propri frutteti, in particolare per chi coltiva pesche, nettarine, mele, pere, ciliegie, che ormai rendono pochissimo. Oppure kiwi: qui il problema non è tanto la redditività, ma le questioni fitosanitarie. «Avevo circa cinque ettari coltivati a kiwi – racconta David Cattani, imprenditore di Valeggio Sul Mincio – ma sono morti tutti. E adesso sto valutando come rimpiazzarle». Le noci e le nocciole sono una possibilità interessante, ma perché non un allevamento di lumache? Non solo per la carne, ma anche per la bava, che viene utilizzata per i cosmetici…”.

E ancora il Corriere del Veneto riporta: “Secondo le stime di Confagricoltura, in provincia di Verona su 170.000 ettari di superficie agricola, un decimo dei terreni ha bisogno urgente di una riconversione dopo che i prezzi di molti prodotti sono scesi a capofitto. A soffrire in particolare è l’Alta pianura, dal territorio villafranchese a Pescantina, che ha visto estirpare kiwi e pesche, a Zevio, Buttapietra e Belfiore, fino al Basso Veronese dove i dolori riguardano i seminativi. Ecco perché il bambù, la noce da frutto, il pioppo, l’allevamento di lumache, ma anche le bacche di goji, i semi di chia, il melograno, la canapa, la quinoa o, più in generale, il passaggio al biologico, possono rappresentare qualcosa di più di un diversivo”.

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