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Melicoltura. Il modello altoatesino tra certezze e transizione

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A Interpoma l’analisi della melicoltura altoatesina tra modello attuale e i cambiamenti in atto. Calano i proprietari di piccole superfici, fondamentale innovare dal punto di vista varietale. L’analisi di Siegfried Rinner

Cala il numero di produttori, anche se in modo più contenuto rispetto alla media europea, non la produttività. Quella illustrata giovedì 24 novembre a Interpoma 2016durante la prima giornata del congresso di apertura, è certamente una fotografia che mostra una melicoltura altoatesina in salute, sebbene in una fase di transizione che, come è normale in questi casi, si interroga e chiede cosa succederà da qui ai prossimi anni.

A fare il punto è stato Siegfried Rinner dell’Unione Agricoltori e Coltivatori Diretti Sudtirolesi di Bolzano, che ha sottolineato alcuni aspetti cruciali per illustrare lo stato dell’arte in quest’area che rappresenta una delle più importanti zone di produzione melicola d’Europa.

Noi in Alto Adige non vogliamo crescere a tutti i costi. Abbiamo sempre cercato di soddisfare le esigenze dell’agricoltura, anche dei piccoli agricoltori, ecco perché c’è stato un esodo minore rispetto ad altre zone”

La melicoltura in Alto Adige è fondamentale per il contesto agricolo e sociale, tanto da rappresentare il 55% della ricchezza generata dall’agricoltura nella provincia di Bolzano. Il tutto è portato avanti all’interno di un contesto “microstrutturato” dove, secondo l’ultimo censimento del 2010, ben il 40% dei produttori ha meno di un ettaro di terreno di proprietà.

“In Alto Adige siamo in presenza di una gestione soprattutto familiare. C’è poca mobilità perché i terreni qui costano” ha sottolineato Rinner . Solo l’8% dei terreni adibiti a melicoltura vengono dati in gestione a persone esterne alla proprietà. “Le aziende sotto l’ettaro, però, sono in calo, di circa l’11%, mentre stanno aumentando quelle con più di 3 ettari. Sono in atto, quindi, dei cambiamenti, anche se lenti”.

Dal punto di vista remunerativo, d’altronde, Rinner ha mostrato come gli utili maggiori vengano realizzati dalle aziende che hanno tra i 2 e i 10 ettari di proprietà, mentre le peggiori performance si concentrano invece proprio in quella grossa fetta di produzione che ha meno di un ettaro. “Le realtà piccolissime investono meno in materiale vegetale con il rischio di diventare poi obsolete”.

E a proposito di rinnovamento varietale, la propensione all’innovazione sembra essere scarsa.

Il tasso di cambiamento varietale è direttamente proporzionale all’andamento del prezzo delle Golden: se cala aumenta il tasso di conversione delle varietà”.

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Confronto fra le 5 varietà di mele coltivate in Alto Adige nel 2006 rispetto al 2014

Secondo Rinner nel medio termine il prezzo della varietà principe sul mercato italiano, vale a dire la Golden Delicous, calerà e quindi ci sarà bisogno di alternative: “Gala e mele Club vanno forte, ma anche le varietà rosse. Però, in generale, il tasso di cambiamento varietale è minore della media perché per ora i prezzi tengono e quindi c’è meno propensione a innovare”.

Dal punto di vista strutturale, infine, Rinner ha evidenziato come il modello verso il quale la melicoltura altoatesina sta andando sia quello verticale, con l’intensificarsi della collaborazione tra cooperative: “questo è ottimo perché si riducono i costi e consente di andare sul mercato riuscendo ad ottenere ottimi utili pur avendo superifici ridotte”.

In conclusione, nonostante siano in atto cambiamenti importanti e ci siano alcuni aspetti critici da gestire e migliorare – “le aziende con meno di un ettaro saranno difficili da mantenere, i melicoltori devono investire di più in ricerca, dobbiamo aumentare e migliorare la consulenza, abbiamo scarsa propensione all’innovovazione varietale, le cooperative collaborano bene ma devono farlo di più per ridurre i costi” ha concluso Rinner – in Alto Adige è presente, e continuerà ad esserci anche in futuro, una situazione ideale per la melicoltura.

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