La Val Bormida non crede solo nello sviluppo della coltura delle nocciole, ma più in generale sui principali generi di frutta secca, dal noce, al mandorlo, al castagno. Tutto questo per gli alti costi che ci sono da una parte a investire sul vigneto e, dall’altra, per lo scarso ritorno economico che deriva ultimamente dal grano e dai cereali in genere. Mentre la frutta secca, appunto, viene vista al momento come una sorta di vero e proprio “bene rifugio”, anche per la crescente domanda di nocciole & co. a livello nazionale e internazionale. A dedicare un servizio ad hoc su tale tema è stato in questi giorni il quotidiano Il Secolo XIX, che riferendo le parole di alcuni produttori della Val Bormida scrive: “Il nocciolo è in continua espansione, ma vorremmo piantare anche noci, mandorli e castagni…Coltivare il vigneto costa di più del noccioleto e seminare cereali non conviene”. Ovviamente, il progetto non può essere attuato nell’immediato, non foss’altro perché la frutta a guscio richiede alcuni anni di attesa prima di entrare in produzione. Tuttavia, i produttori locali sembrano determinati a intraprendere questa strada e, nel servizio citato, ribadiscono: “Diversificare è necessario”.
L’idea, non giunge come un fulmine a ciel sereno. Già l’11 giugno scorso, a Cherasco (CN), si era parlato della possibilità di creare nuove filiere in Val Bormida durante un convegno organizzato da Confagricoltura Cuneo, Ascopiemonte e Piemonte Asprocor. E proprio Gianluca Griseri, responsabile tecnico di Ascopiemonte, ha detto al quotidiano genovese: “Le superfici aziendali in Piemonte sono limitate. Le varietà piemontesi hanno una resa limitata e occorrono anni per entrare in produzione, fino a 8 anni per la nocciola. Tuttavia la consapevolezza della qualità e la professionalità hanno prevalso. Il nocciolo è complementare alla vite, può davvero rappresentare un’alternativa produttiva, economica ed occupazionale. Occorre però prestare particolare attenzione alla scelta del materiale vivaistico e alla messa a dimora”.