Il timore che la campagna della frutta estiva di quest’anno possa replicare gli esiti disastrosi dello scorso anno è presente tra i produttori. E non è solo il perdurare dell’embargo russo a preoccupare quanto anche le agguerrite produzioni spagnole che quest’anno faranno registrare un complessivo +3%. In Italia, invece, è prevista una produzione nella norma di pesche e nettarine e un calo di susine e albicocche.
Insomma, è ancora presto fare delle previsioni, anzi, lo scenario sembra alquanto difficile da decifrare, però Giancarlo Minguzzi, presidente di Fruitimprese Emilia Romagna, durante l’ultima assemblea ha fatto il punto della situazione evidenziando possibili criticità. Riemergono, così, gli spettri della passata stagione dove l‘accavallarsi di diversi fattori negativi (clima freddo, piogge, sovrapposizioni produttive) nel 2014 mise in ginocchio i produttori. Se anche quest’anno dovesse esserci una crisi sul fronte dei prezzi e dei consumi, Minguzzi ha chiesto che l’Italia si muova in anticipo chiedendo alla Commissione Ue di intervenire con misure anticrisi tempestive ed efficaci.
La compagine emiliano romagnola dell’associazione che riunisce le grandi imprese ortofrutticole private commerciali cresce ed è arrivata a contare 70 realtà aderenti (10 in più rispetto a 4 anni fa) con quantità commercializzate di 1 milione di tonnellate e un giro d’affari di 900 milioni di euro, di cui oltre il 60% di export. Ma proprio l’export ha ancora ampi margini di crescita. “Siamo penalizzati – ha detto Minguzzi – da costi di produzione sopra la media Ue, dalla burocrazia e da norme non uniformi a livello europeo sull’impiego dei fitosanitari. Produrre frutta e verdura nel Belpaese costa il 10% in più rispetto ad altri Paesi Ue, per via del costo del lavoro, del costo del trasporto e dell’energia per uso industriale, i più alti in Europa”. A questo, secondo il presidente di Fruitimprese Emilia Romagna, bisogna aggiungere quella che definisce una burocrazia bizantina: “Sui controlli siamo il Paese più rigido del mondo. E’ giusto che vi siano controlli, ma spesso sono ripetitivi, non coordinati e richiedenti documentazione già in possesso alla Pubblica amministrazione”.
Infine il nodo delle barriere fitosanitarie, un vero e proprio ostacolo alle esportazioni italiane, spesso usato come vera e propria arma protezionistica. “Nonostante il mercato dei prodotti ortofrutticoli per l’Unione Europea sia unico vi è una forte differenziazione delle prescrizioni contenute nei disciplinari. La mancata uniformità di normative e procedure conduce a trattamenti differenti tra operatori di Paesi e regioni diversi, incidendo notevolmente sui costi di produzione. Lo svantaggio competitivo è sia nei confronti dei Paesi extra Ue, da cui importiamo prodotti coltivati con regole più blande sulla sicurezza alimentare, sia all’interno dell’Unione. La Spagna, ad esempio, può usare un prodotto per la conservazione delle pere, da noi vietato, che consente di mantenerle per il doppio del tempo, e quindi di esportarle anche in mercati più lontani”.