Il 2019 non sarà certo archiviato come un anno privo di scossoni e cambiamenti per il mondo della distribuzione moderna italiana. Se la cessione di Auchan a Conad è certamente l’operazione, anche mediaticamente, più rilevante, soprattutto per la complessità del passaggio di consegne e il numero di dipendenti in gioco, ieri a Milano, è stata annunciata un’aggregazione importante, che vede come protagonisti Bennet e il Gruppo VéGé.
Con una conferenza stampa organizzata in pochissimo tempo, Giorgio Santambrogio, amministratore delegato di VéGé, e Adriano De Zordi, Consigliere Delegato e Legale Rappresentante di Bennet, accompagnati dai due responsabili commerciali, Eduardo Gamboni (Gruppo VéGé) e Roberto Polloni (Bennet), hanno illustrato la nascita di un nuovo sodalizio che cambia nuovamente le carte in tavola all’interno dello scacchiere della grande distribuzione della penisola.
Dal primo gennaio del 2020 Bennet – storica insegna italiana nata negli anni ’60 dal progetto della famiglia Ratti – entra a far parte del più grande e antico gruppo della distribuzione moderna italiana, che proprio quest’anno compie 60 anni, vale a dire il Gruppo VéGé.
Complementarità e reciprocità sono, secondo i protagonisti dell’operazione, due parole che ben sintetizzano le ragioni di questa nuova alleanza. Bennet, infatti, colma un vuoto di presenza territoriale per VéGé, vale a dire quello in Area 1 Nielsen, grazie ai suoi 63 ipermercati – tutti di medie dimensioni e performanti, antitetici alle grandi cattedrali oggi in grande crisi – e 50 centri commerciali di proprietà (più di 1250 negozi al loro interno) disseminati soprattutto in Piemonte e Lombardia. Allo stesso tempo VéGé condividerà valori e strategie di un gruppo presente lungo tutta la penisola con quasi 3500 punti vendita, 30 insegne (comprendendo ora anche Bennet) tutte sostanzialmente indipendenti, un valore che, come ha sottolineato Santambrogio, tutela quell’autonomia, anche culturale, fondamentale per tenere insieme storie e bacini di utenza molto differenti tra di loro.
«Crescere, imparare e migliorarsi. Sono altre parole che condividiamo con VéGé – ha commentato De Zordi –. Due talenti che si uniscono possono generare altri successi». Ne è convinto anche Santambrogio che durante la presentazione ha lasciato intendere come questa non sarà l’ultima operazione di aggregazione che vedrà protagonista Gruppo VéGé da qui alla fine dell’anno, anche perché l’obiettivo per il 2020 è quello di arrivare ora ai 10 miliardi di fatturato rispetto agli attuali (stimati) 7,5 di fine 2019. Poiché Bennet ne porta in dote 1,6 (dato del 2018), è segno che qualcosa succederà ancora.
Questa operazione cambia i rapporti di forza anche all’interno di alcune regioni italiane. Se VéGé è da tempo leader come quote di mercato in Campania (29,61%), Basilicata (29,65%) e Sicilia (19,74%), o al secondo posto in altre come Sardegna (13,91) e Veneto (12,42%), con l’arrivo di Bennet scala posizioni in Lombardia (8° posto con una quota del 5,65%) e in Piemonte (5° posto con 6,46% di quota). In termini assoluti, VéGé è ora al 7% di quota di mercato in Italia, al quinto posto assoluto.
Nonostante questo, secondo Santambrogio non c’è in realtà alcuna «velleità da prestazione. Queste aggregazioni servono per dare competitività agli imprenditori e ai punti vendita. Dobbiamo essere più grandi per garantire a tutti di essere forti e poter confrontarci con l’industria facendogli vedere che siamo presenti su buona parte del territorio italiano».
E proposito di rapporti con con l’industria, ora anche la centrale di acquisto Aicube, che vede insieme VéGé, Pam e Carrefour, cresce con l’arrivo di Bennet e passa al 16,4%. Considerando il travaso di Auchan in Conad, che fa centrale con Finiper, ovviamente Antitrust permettendo – nel caso dell’operazione Bennet/VéGé non sembrano esserci problemi vista la complementarità territoriale rispetto alle altre insegne del gruppo – e EDS Italia, la mappa in questo caso vedrà da gennaio tre supercentrali più o meno paritetiche sul mercato interfacciarsi con l’industria di marca. Perché, secondo Santambrogio: «gli anelli deboli della filiera sono l’agricoltura e la distribuzione, non certo l’industria». Insomma, da qui ai prossimi mesi, “ne vedremo ancora delle belle” nel mondo della grande distribuzione.