I politici comunicano da soli sui social, ci sono musicisti che fanno a meno delle case discografiche e scrittori (ancora pochi) che si autopubblicano da soli e, soprattutto, promuovono le opere con i loro canali di comunicazione. Per non parlare degli artigiani 4.0 che si dedicano anche alla progettazione avanzata. Sempre di più. E i produttori agricoli? E le imprese agricole? Anche loro da anni sperimentano la disintermediazione commerciale e promozionale. Per alcuni funziona, per altri no.
Le diverse forme del fai da te commerciale
Il fenomeno è complesso. C’è chi vende da solo ma appoggiandosi a strutture organizzate come i mercatini di quartiere, di città, di paese, alla sagre e alle feste dove spesso ci sono organizzazioni, pensiamo a Campagna Amica di Coldiretti, a supportare il lavoro. Ci sono aziende agricole che grazie a campagne sul web hanno spopolato e attrezzato un punto vendita aziendale di successo. C’è ancora un livello superiore con la consegna a domicilio dell’ortofrutta ai clienti. Chi si limita alla sua zona in un raggio di pochi chilometri e chi investa in furgoncino e tempo ed organizza vendite, attraverso prenotazioni online, a centinaia di chilometri di distanza. Myfruit.it per esempio ha scritto dell’azienda l’Orto di Barbieri, una tra le tante, che da Bologna vende e distribuisce a Milano. C’è chi si sgancia completamente da Gdo e mercati all’ingrosso, con la mediazione di cooperative e centri di acquisto, e chi tiene i piedi in due staffe. Il fenomeno è decisamente vario.
Ma con l’inflazione cosa succede?
La vendita diretta è stato il braccio armato della logica del chilometro zero, di una nicchia sempre più in crescita di consumatori che predilige – anche per questioni politiche, etiche e identitarie la filiera corta considerata spesso più ecologica per la riduzione delle emissioni grazie alla logistica ridotta. Poi del contadino dietro casa ci si fida per la freschezza del prodotto e un uso prudente dei fitofarmaci. Non sempre, invece, c’è un ritorno economico. Organizzare la vendita diretta ha dei costi in termini di personale, soprattutto per chi ha un punto vendita sempre aperto, di macchinari e di energia che oggi sono diventati rilevantissimi per le aziende.
I prezzi al consumatore di frequente non sono concorrenziali nei confronti della Gdo e anche con discount dove sono rallentate le promozioni, ma non scomparse, e si trova ancora prodotto venduto sotto l’euro. Sorgono così i problemi di queste ultime settimane con le famiglie stressate nel bilancio familiare dall’aumento esponenziale delle bollette e dei generi di prima necessità,così da guardare con più attenzione allo scontrino. Il differenziale di costo si fa sentire.
Lo sfogo di una imprenditrice: “Sono stanca di essere accusata di vendere a prezzi alti”
Sul punto è esemplare lo sfogo di una imprenditrice agricola che da circa un’anno ha dato vita alla vendita diretta. Si chiama Vanessa e rappresenta l’Azienda agricola Gamberini di Granarolo dell’Emilia. Ha scritto un post senza se e senza ma: “Sono stanca, stanca di sentire i contadini trattati a pesci in faccia, come se avessero sempre qualcosa su cui marciare, come se dovessero sempre truffarvi, perché vendono oro, perché quest’anno i prezzi sono inavvicinabili, addirittura”.
La produttrice ha tutte le sue ragioni. Ma il mondo sta cambiando, giorno dopo giorno, e i rialzi seppur giustificati si sentono con più intensità. Interessante capire anche il dato quantitativo. Vanessa reagisce alle accuse e ci offre un dato: “Per cosa? Quaranta centesimi in più rispetto al prezzo visto in un discount vicino? Per cosa?”.
“Il supermercato vi ha alzato i prezzi, a noi pagano meno dell’anno scorso”
Seguono le ragioni, quelle che conosciamo bene e che scriviamo da tempo dei rialzi: “In un’estate in cui non è piovuto? In un anno in cui i concimi costano tre volte tanto? In un anno in cui i supermercati a voi hanno alzato i prezzi, ma a noi pagano sempre uguale se non meno dell’anno scorso?“.
“Sono stanca – ha continuato – di vedere che la gente non capisce, non riesce a percepire il vero valore di una verdura coltivata a vecchia maniera e curata in ogni piccolo dettaglio, giorno e notte, qualsiasi sia la condizione meteorologica là fuori. Ho avuto l’ansia della grandine per tutta l’estate, temendo di non poter mantenere la parola data a chi mi aveva prenotato i pomodori da conserva. Sono corsa a mettere dentro le zucche in un giovedì qualunque in cui è venuto un gran temporale non previsto dal meteo, e l’ho presa tutta quell’acqua”.
Le condizioni di lavoro non sono buone: “Ho passato notti dove mi svegliavo alle tre per la paura di non riuscire a preparare in tempo gli ordini per la giornata seguente. Siamo sempre qui, pronti a cercare nella maniera più sana del mondo di darvi un prodotto buono, semplice, genuino, fatto da noi, fatto da me, come lo vorrei per me, senza troppi fronzoli, a volte brutto ma buono, ma siamo qui. Sempre qui. Disponibili, che però attenzione, non significa a disposizione. Un po’ di rispetto per i contadini che ricordo, producono cibo, e voi ve lo magnate, sempre e comunque, supermercato o non. Sono nata nell’epoca sbagliata, sempre pensato, 50 anni fa c’era un rispetto diverso verso chi la terra la curava e la lavorava tutti i giorni”.
A Rovigo c’è chi taglia le piante di susine
La disperazione è alta. C’è chi compie gesti forti, un taglio netto nel vero senso della parola. Succede a Villanova del Ghebbo, siamo in provincia di Rovigo, dove l’imprenditore agricolo polesano Raffaello Mantovani, ha estirpato tre ettari su sei dedicati alle prugne precoci. L’agricoltore, iscritto a Confagricoltura Rovigo, lamenta una proposta di pochi cent il kg per le sue susine. Come riporta l’edizione locale di Il Resto del Carlino non si vendono perché oggi mancano i soldi e vengono impiegati per soddisfare i bisogni fondamentali.
Oltre lo sfogo c’è una transizione da portare avanti
Comprensibile lo sfogo dell’imprenditrice, dispiace per la reazione dell’agricoltore, e le cose che ha scritto sono tutte vere. Ma bisogna andare oltre. Per forza. Questa crisi ha accelerato l’urgenza della transizione energetica. Purtroppo si sono buttati anni dietro agevolazioni, per esempio al carburante inquinante, e non si è investito sull’autoproduzione energetica o su fertilizzanti più economici da economia circolare. Ora si pagano le conseguenze di questo ritardo culturale. Va bene lo sfogo, comprensibile e giustificato, ma c’è da cercare una via più ecologica e più economica nella produzione per far fronte a cambiamenti climatici e geopolitici.