Dalla Fanta con Arance rosse di Sicilia Igp al minestrone Findus con Basilico genovese Dop, dalla Patata del Fucino Igp alla Cipolla rossa di Tropea Igp, fino alla crema spalmabile al Cioccolato di Modica Igp. L’impiego delle eccellenze gastronomiche tutelate nei prodotti trasformati è un fenomeno in crescita costante. Ed è un fenomeno che coinvolge 1.600 aziende per un fatturato stimato in oltre 1 miliardo di euro. Questi in estrema sintesi i risultati dell’indagine quali-quantitativa della Fondazione Qualivita, ripresi questa settimana in un articolo di Enrica Ruggieri su Largo Consumo.
Si scrive ingredient branding e si legge reputazione
L’ingredient branding è una strategia di marketing in base alla quale il prodotto finale di un’azienda è realizzato attraverso componenti di un brand noto o prodotti apprezzati sul mercato. E il ricorso al sistema delle Indicazioni geografiche (Ig) come materia prima della trasformazione industriale sta prendendo sempre più piede: si fa per distinguersi dalla concorrenza e conquistare un posizionamento premium. Il prodotto a marchio Ue diventa elemento caratterizzante, dal forte richiamo evocativo e dalla solida reputation di qualità. Molti grandi nomi dell’industria nazionale italiana ci hanno già investito: basta pensare a Ferrero, o anche ad autentici colossi come Findus, McDonald’s e Coca-Cola.
Ma andiamo nel dettaglio. Secondo la ricerca della Fondazione Qualivita, le Dop e le Igp destinate alla trasformazione hanno raggiunto un valore alla produzione di 260 milioni, generando un giro di affari al consumo finale superiore al miliardo. Le imprese della trasformazione alimentare che nel 2020 hanno utilizzato un prodotto di qualità certificata sono 1.600, per un totale di 4.600 autorizzazioni attive e 13mila rilasciate.
Del resto, di fronte a un consumatore sempre più sensibile all’origine di ciò che mangia, l’impiego da parte delle industrie alimentari di prodotti che si fregiano del bollino Ue si sta rivelando una strategia vincente sotto differenti punti di vista.
I valori intangibili ma pesanti
Non è solo una questione di maggiore garanzia di qualità della materia prima utilizzata e di tracciabilità della filiera a connotare positivamente le preparazioni che utilizzano le Dop e le Igp come ingredienti, ma un insieme di elementi intangibili come il legame con il territorio, l’autenticità, la salvaguardia delle economie locali. Tutti valori ormai sdoganati nel vissuto del consumatore contemporaneo e che ne condizionano l’acquisto.
Le opportunità per la food industry riguardano la possibilità di trarre vantaggio dalla reputazione delle Dop e Igp, attirare nuovi segmenti di consumatori, imporsi sul mercato con prezzi premium, e caratterizzare il proprio prodotto rispetto al territorio.
Strategia win-win
Ma anche i produttori di Dop e Igp e i loro consorzi possono contare su molti benefici, rappresentando un classico esempio di strategia win-win. Intanto, l’aumento della notorietà attraverso una maggiore diffusione su scala nazionale e internazionale, la destagionalizzazione e la possibilità, anche per i prodotti freschi, di essere presenti a scaffale in tutti i periodi dell’anno.
Ancora: il rafforzamento della reputazione grazie all’associazione con brand di prestigio e, naturalmente, l’incremento delle vendite. Da sottolineare, come beneficio per il sistema, anche il contributo che questo tipo di collaborazioni offre alla lotta alla contraffazione e all’Italian sounding. Dall’altra parte, il rischio è un parziale effetto “commodity” per Dop e Igp, dovuto al parziale offuscamento della loro connotazione di distintività ed esclusività.
L’analisi di Qualivita ha poi sottolineato l’assenza a livello europeo di una disciplina puntuale e uniforme che regoli le condizioni per l’impiego di denominazioni registrate, non solo nella composizione (intesa come quantità minima di materia prima certificata che un prodotto può contenere perché tale ingrediente sia definibile caratterizzante), ma anche nella etichettatura, presentazione e pubblicità degli alimentari che contengono Dop e Igp. In Italia il quadro giuridico, sebbene incompleto e frammentato, ha previsto una regolamentazione in capo ai Consorzi di tutela riconosciuti, ove presenti, oppure in capo al Dicastero delle politiche agricole.