Calano i consumi di frutta e verdura in Italia, e oramai questo è un dato strutturale: dal 2000 al 2013, infatti, si registra una perdita di quantità acquistate per famiglia di circa 140 Kg. E non in modo omogeneo dal punto di vista geografico. Da una parte, infatti, Nord e Centro presentano consumi stabili o in crescita, dall’altra il Sud, dove invece, probabilmente anche a causa della minor presenza della Gdo, diminuiscono in modo significativo. Eppure, nonostante questa chiara evidenza, ci sono segnali che fanno pensare che è possibile una risalita, spostando l’attenzione su alcuni fattori.
Questo almeno è il pensiero di Elisa Macchi, direttore del Cso che, davanti ad una folta platea, è stata uno dei relatori del convegno “I Consumi di Frutta e Verdura in Italia” organizzato dal Centro Servizi Ortofrutticoli di Ferrara a Bologna lunedì 9 giugno. «In primo luogo è palese che il prezzo non è l’unico fattore condizionante per l’acquisto, lo si vede dallo sviluppo del biologico o di referenze alte di gamma come il radicchio (+61% di acquisti dal 2006 ad oggi), o le fragole (+34% dal 2000 al 2013)». L’innovazione varietale e il conseguente miglioramento del punto vista organolettico sembrano quindi premianti. «Mi riferisco, ad esempio, alla crescita dei consumi di albicocche (+ 6% dal 2000) o anche delle pesche (+3% dal 2006) – continua il direttore del Cso – o dei meloni che hanno vissuto un profondo rinnovamento varietale e un ampliamento del calendario di commercializzazione».
Soffrono invece i prodotti anonimi o quelli dove non è stata ancora attuata una politica di segmentazione e differenziazione, come le pere, le arance o l’uva da tavola. Infine, alcuni indicatori, continua Elisa Macchi, danno segnali incoraggianti, che fanno pensare ad una ripresa, seppur timida. «Ci dovremo giocare bene le opportunità, consapevoli del fatto che sarà sempre più importante conoscere a fondo la dimensione delle produzioni italiane che è la base di partenza per ogni scelta strategica e di fatto, oggi, è ancora incompleta».