Oscar Farinetti è un grande. Interpretando i sentimenti nascenti dei consumatori ha inventato di sana pianta un’offerta alimentare ricca di innovazione, immaginazione ed emozione. Sempre alla ricerca di gusti vecchi e nuovi. Ha iniziato facendo esperienza fra gli scaffali del negozio di suo padre, ma fra il 1995 ed il 2000 arriva già a controllare 90 punti vendita in Italia.
Forte di questo background inizia a pensare in grande ed arriva al culmine con l’apertura di un megastore a New York al quale recentemente si è affiancata un’iniziativa simile a Roma. Farinetti conosce tanti segreti del marketing e li vuole adesso applicare a un concetto più vasto: promuovere l’agroalimentare italiano in tutto il mondo basando sulla qualità superiore un brand, una mela tricolore.
Finalmente qualcuno in Italia capisce che per vendere ed ancora per esportare si deve ascoltare il mercato ed orientarsi ad esso. Sotto questo aspetto il suo claim, sintetizzato efficacemente nello slogan “no OGM, no concimi chimici. no diserbanti”, va certamente in questa direzione. Tradisce la stretta parentela con la politica dei vignaioli ma suona bene. Non saranno contenti i sostenitori del biologico (qui la risposta di FederBio) al quale Farinetti non crede (“è un concetto confuso e farmaceutico che non piace a noi gourmet”). Allora tutti contenti, convinti e d’accordo?
Sarebbe veramente auspicabile riuscire ad unire sotto un unico ombrello, un unico brand, tanto ben di Dio che ha già, per storia e tradizione, una buona immagine in tutti i paesi del globo: i ristoranti italiani sono ai primi o ai secondi posti fra quelli non autoctoni in ogni paese, la dieta mediterranea è indicata come la più sana in tutto il mondo. E proprio quest’ultima comprende molta frutta e verdura fresca della quale Farinetti però non parla. In teoria non ci dovrebbero essere dubbi, la proposta del marchio unico può funzionare!
Ma è così solo nella teoria. Ci sono almeno tre ragioni per le quali è assolutamente impossibile che funzioni nella pratica: a) il titolare del brand deve avere il pieno controllo della produzione e del prodotto e questo con tanti produttori non sarà possibile, b) il produttore deve accettare di sottostare a regole imposte dall’alta direzione responsabile del marchio e questo in Italia non ha mai funzionato, c) la produzione dovrebbe orientarsi al mercato e questo richiederebbe investimenti iniziando dalla ricerca. Chi paga?
E qui casca l’asino: per realizzare il suo piano Farinetti ha presentato il progetto al Ministro Mario Catania. Se Catania desse la sua benedizione e incitasse, magari, anche l’ICE a collaborare, allora ci sarebbe qualche possibilità. Ma se dovesse mettere in moto un nuovo carrozzone, per di più commerciale, sostenuto con i soldi pubblici, con i soldi dei cittadini e quindi anche con i miei, il mio no è scontato. E sono sicuro anche quello della maggioranza degli italiani.
Chi invece è specialista della distribuzione e quindi anche del commercio ortofrutticolo dovrebbe scegliere le idee che sono valide ed iniziare a metterle in pratica nel suo settore, che non per niente è stato dimenticato. È, infatti, il più difficile da gestire. Ma chi, come gli esportatori ortofrutticoli, dimostra quotidianamente di saper fare le cose difficili potrebbe poi invogliare altri a seguirne l’esempio.
Fonte foto: divini.corriere.it