Sulla contraffazione dell’origine della frutta siciliana si fa il pieno nelle cronache, grazie anche alle recenti operazioni promosse dalla Regione Sicilia, ma con l’operazione antimafia Condor si scoprono le mani delle organizzazioni criminali sulla filiera dell’uva.
Arrestati esponenti di Cosa Nostra in contatto con una ‘Ndrina calabrese
Partiamo con la cronaca dei fatti. La notte scorsa nell’ambito dell’operazione antimafia Condor 10 persone di Agrigento e dintorni sono state sottoposte a misure cautelari. Secondo la ricostruzione fornita dagli investigatori sono stati “acquisiti gravi indizi sull’interferenza esercitata da Cosa Nostra” nelle transazioni per la vendita di uva. Ma bisogna parlare di organizzazioni criminali organizzate al plurale: oltre esponenti di Cosa Nostra, accusati di ingerenza nel comparto, sono emersi i rapporti del vertice della famiglia mafiosa di Palma di Montechiaro con la ‘Ndrina calabrese dei Barbaro di Platì. Questo raccontano le cronache.
Attività illecite per finanziare i detenuti
Secondo quanto emerge dalle fonti investigative le attività criminali erano ampie e diversificate: dalle slot machine alle estorsioni contro un imprenditore costretto ad astenersi dalla partecipazione ad un’asta giudiziaria finalizzata alla vendita di alcuni terreni. Ma la notizia più curiosa, ma non meno preoccupante, riguarda la gestione di un impianto di pesatura dell’uva. Ebbene i proventi avrebbero finanziato anche i detenuti associati alle organizzazioni criminali.
E chi paga? I coltivatori con l’uva a pochi cent
L’operazione Condor ha stimolato la riflessione e la denuncia della Coldiretti che offre una sua interpretazione economica e sociale del fenomeno. “L’uva è sottopagata agli agricoltori su valori che non coprono neanche i costi di produzione, ma i prezzi arrivano a più che triplicare dal campo alla tavola anche per effetto delle infiltrazioni della malavita che soffoca l’imprenditoria onesta e distrugge la concorrenza e il libero mercato”.
Con queste attività criminali: “Viene condizionato il mercato della commercializzazione degli alimenti, stabilendo i prezzi dei raccolti, gestendo i trasporti e lo smistamento. La criminalità non solo si appropria di vasti comparti dell’agroalimentare e dei guadagni che ne derivano, approfittando anche della crisi causata dalla pandemia e dalla crisi energetica, ma – sottolinea la Coldiretti – compromette la qualità e la sicurezza dei prodotti, con l’effetto indiretto di minare profondamente l’immagine dei prodotti italiani ed il valore del marchio made in Italy. Le mafie nelle campagne operano attraverso furti di attrezzature e mezzi agricoli, racket, abigeato, estorsioni, o con il cosiddetto pizzo anche sotto forma di imposizione di manodopera o di servizi di trasporto o di guardiania alle aziende agricole, danneggiamento delle colture, aggressioni, usura, macellazioni clandestine, caporalato e truffe nei confronti dell’Unione Europea fino al controllo di intere catene di supermercati e ristoranti con un business criminale stimato in oltre 24,5 miliardi dall’osservatorio agromafie”. Insomma serve maggiore attenzione e vigilanza.