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Consumo del suolo, in Italia persi due metri quadrati al secondo

Oggi la giornata mondiale, ma i numeri non sono confortanti. Serve una legge per tutelare la risorsa naturale?

Oggi (5 dicembre) si celebra la giornata mondiale del suolo, in uno scenario tutt’altro che confortante. In Italia, secondo le stime dell’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) se ne perdono due metri quadrati al secondo e nel 2021 la media è stata di 19 ettari di suolo persi al giorno, il valore più alto degli ultimi dieci anni.

Una celebrazione mondiale

La ricorrenza, nata nel 2002 dall’Unione internazionale delle scienze del suolo, vuole sottolineare l’importanza del suolo per la vita delle piante, degli animali, degli esseri umani. Poiché si tratta di un problema trasversale in tutto il mondo, dal 2014 viene celebrata ufficialmente anche dalle Nazioni Unite.

D’altro canto il suolo svolge delle funzioni di vitale importanza sulla produttività alimentare, sulla tutela degli ecosistemi, sul contrasto ai cambiamenti climatici: proprio il suolo è il più grande serbatoio di carbonio dopo gli oceani.

Gli ultimi dati indicano che in dieci anni il suolo ha assorbito il 54% delle emissioni di CO2 di origine antropica.

Numeri pesanti

L’argomento scelto per quest’anno è esplicativo: Suoli: dove inizia il cibo.
Un tema che parte da una premessa: per soddisfare la domanda alimentare globale nel 2050 servirebbe aumentare la produzione agricola del 60 per cento. Il che, già di per sé non sarebbe semplice, ma diventa ancora più complesso con il 33% dei suoli degradato. 

Numeri alla mano, infatti, la Fao (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) stima che i terreni al mondo soggetti a degrado indotto dall’azione dell’uomo ammontano a 1,66 miliardi di ettari, la metà dei quali in condizioni già fortemente critiche di depauperamento.

Problemi e tragedie

Restando in Italia, secondo i dati di Wwf Italia a oggi 21.500 chilometri quadrati di suolo italiano sono cementificati; gli edifici occupano 5.400 chilometri quadrati, una superficie pari a quella della intera Liguria.

Sempre secondo Wwf, il suolo perso in Italia dal 2012 a oggi avrebbe garantito l’infiltrazione di oltre 360 milioni di metri cubi di acqua piovana creando una buona riserva idrica. Invece, restando sulle superfici impermeabilizzate da asfalto e cemento, non sono disponibili per la ricarica delle falde, ma contribuiscono ad aggravare le situazioni di dissesto idraulico che caratterizzano un Paese fragile come l’Italia: oltre il 16% del territorio è in aree ad elevato rischio idrogeologico e sono sei milioni le persone che  vivono in aree di potenziale rischio.

Ci sarà una legge?

In Italia si discute senza successo di una legge sul consumo del suolo dal 2012. Sempre Wwf Italia ha avanzato la richiesta al parlamento e al governo italiano di approvare una norma che impedisca le nuove costruzioni in aree rimaste libere, stimolando il recupero di quelle già occupate e degradate.

Le quali, nelle sole aree urbane, sono pari a oltre 310 chilometri quadrati di edifici non più utilizzati, una superficie pari all’estensione di Milano e Napoli sommate.

I commenti

D’accordo con una legge dedicata al problema è Coldiretti: “Per proteggere la terra l’Italia deve difendere il patrimonio agricolo e la disponibilità di terra fertile puntando a una forma di sovranità alimentare con i progetti del Pnrr – afferma il presidente Ettore Prandini – Occorre anche accelerare sull’approvazione della legge sul consumo di suolo che potrebbe dotare l’Italia di uno strumento all’avanguardia per la protezione del suo territorio”.

“L’agricoltura biologica non è più un’opzione – commenta Giuseppe Romano, presidente di Aiab – ma una necessità. Producendo con il metodo biologico, si evita la desertificazione e il degrado dei suoli e si contrastano i cambiamenti climatici di cui la produzione industriale e convenzionale è una delle principali cause. Bisogna proteggere la fertilità e la salute del terreno attraverso pratiche agricole rispettose come la rotazione e la diversificazione delle colture, il sovescio, l’utilizzo di fertilizzanti naturali.  Tutte pratiche che rappresentano la sostanza e l’identità del metodo bio e che dovrebbero diventare il modo prevalente di produrre cibo in tutto il mondo”.

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