Sono almeno 10mila in Italia i lavoratori agricoli migranti che vivono nei cosddetti insediamenti informali. Sono luoghi di privazione e di sfruttamento, mancanti di tutti i servizi essenziali.
È il dato shock che emerge dal rapporto “Le condizioni abitative dei migranti che lavorano nel settore agroalimentare” pubblicato oggi 19 luglio dal ministero del Lavoro e delle politiche sociali e dall’Associazione nazionale dei comuni italiani (Anci) nell’ambito del Piano triennale di contrasto allo sfruttamento lavorativo in agricoltura e al caporalato 2020-22.
Tante baracche e pochi servizi
Si tratta di un’indagine senza precedenti per copertura nazionale e ampiezza di restituzione: ad aver compilato il questionario sono infatti la metà dei Comuni italiani.
I quali hanno restituito una fotografia dettagliata, con numeri e informazioni, circa le presenze, i flussi, le caratteristiche dei lavoratori agricoli migranti e circa gli alloggi presenti nei propri confini.
Su quest’ultimo aspetto il quadro è scoraggiante: oltre alle abitazioni private e alle strutture, temporanee o stabili, attivate da soggetti pubblici o privati, sono molti, troppi, gli insediamenti spontanei non autorizzati. Alcuni sono occupati da pochi soggetti, altri sono i cosiddetti ghetti che ospitano centinaia di individui.
Le sistemazioni sono tra le più disparate tra casolari, palazzi occupati, baracche, tende e roulotte.
Sono inoltre stati censiti i servizi. Anche in quest’ambito la situazione è scoraggiante, in molti contesti manca tutto. L’aspetto positivo è che l’indagine consentirà al ministero del Lavoro di individuare le amministrazioni che maggiormente necessitano dei 200 milioni del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) destinati proprio a contrastare questo fenomeno.
Qualcosa in più di una mappa
“Questo rapporto – scrivono nella prefazione il ministro Andrea Orlando e il presidente dell’Anci Antonio Decaro – non è la semplice mappatura di come i migranti vivono e lavorano nei nostri campi, ma restituisce in maniera più ampia il modo in cui sui nostri territori, oggi, riconosciamo o neghiamo dignità a quelle vite e a quel lavoro. Troppo a lungo abbiamo portato il peso di luoghi che negano i nostri principi costituenti e il rispetto dovuto a ogni essere umano. Li abbiamo, etimologicamente, tollerati. Non possiamo e non vogliamo più sostenere quel peso. Riconsegniamo ovunque alle parole casa e lavoro il senso che dovrebbero avere”.