Bisogna abituare gli italiani all’uva senza semi. Lo dicono i dati di Apofruit che vende ben il 91 per cento della produzione all’estero, solo il restante 9% in patria dove è quasi sconosciuta anche se sta crescendo la richiesta. Il responsabile mercato estero Marcello Guidi pensa positivo: “Chi prova la senza semi non torna indietro“. Tradotto: avanti tutta in questa direzione. Incoraggiata da Ernesto Fornari, direttore generale di Apofruit, durante la conferenza stampa, oggi a Rimini alla fiera Macfrut, di presentazione dei dati 2021.
Una campagna da 100mila quintali
Guidi dà anche i numeri dell’ultima campagna: “Sono 100mila quintali, 70 per cento convenzionale e il restante biologico e biodinamico. Abbiamo iniziato dieci giorni dopo, c’è stata la concentrazione nel mese di agosto. Ma sono ottimi i rapporti con i nostri clienti, confidiamo di andare bene da ora a novembre. I mesi più importanti”. Bene. Ma vediamo i dati di vendita: “Solo il 9% si vende in Italia, mentre la quota maggiore dell’esportazione è rappresentata dagli scambi con il mercato tedesco che assorbe il 40/45 per cento del prodotto. In crescita la domanda in Scandinavia e Svizzera. Consolidate le performance in Regno Unito con particolare attenzione per le linee Premium. Il 5% delle uve uve seedless prende la strada dei mercati extra Ue“.
Senza semi ma pieno di informazioni con la App
Alla conferenza Francesco Ciavarella, direttore operativo Op Terre di Bari, ha sottolineato l’importanza del nuovo packaging. Etichette parlanti grazie al QR Code che permette di andare oltre la generica origine Italia. Si arriva, infatti, ad inquadrare il lotto dove è stato coltivato il grappolo d’uva portato in tavola. “Tutto merito di una App. Si chiama Delajoche e la usiamo per censire tutti gli appezzamenti e monitorare tutti i lotti con i quaderni di campagna di tutti gli associati. Molto veloci e reattivi nel rispondere anche alle domande della Gdo”. In questo modo si da valore al produttore e al consumatore, incontri ravvicinati seppur mediati dalla tecnologia. Buone pratiche dalla Puglia dove Apofruit grazie all’accordo di collaborazione con la Op Terra di Bari, nel territorio di Noicattaro e Rutigliano siamo nel Sud Est barese, ottiene circa cinquemila tonnellate di uve da tavola.
Sostenibilità ambientale e sociale
Il versante della sostenibilità ambientale è percorso con l’introduzione di confezioni dedicate in cartone e filmatura in plastica biodegradabile stampabile. Una soluzione che permette di eliminare l’utilizzo delle etichette. Sul fronte sociale è intervenuto il presidente della Op pugliese Luigi Rizzo: “Le licenze esclusive per le uve senza semi hanno dato grandi possibilità di sviluppo ad Op Terra di Bari. Per primi nel territorio abbiamo creduto all’uva senza semi e oggi possiamo dire che stiamo acquisendo sempre maggiori quote sul mercato estero garantendo i redditi degli agricoltori con una prospettiva positiva di lungo termine”. Tutto bene anche grazie ai contratti aziendali firmati con i sindacati: “Un accordo unico nel nostro territorio, con l’utilizzo del nuovo istituto delle assunzioni congiunte, l’accordo sui corretti inquadramenti dei dipendenti nel rispetto dei contratti provinciali e l’inserimento di una misura di welfare aziendale. Penso che sia importante mettere in evidenza anche questi elementi, oltre che quelli produttivi”.
A tutto bio e biodinamico
Sorprendenti i numeri offerti dal tecnico agronomo di Apofruit Giacomo Mastrosimini: “Oggi la produzione di uva Apofruit certificata biologica rappresenta il 30% del totale dell’offerta. Si pensa che l’uva da tavola biologica e biodinamica sia molto difficile da produrre. In realtà la nostra esperienza ci dice che così non è. Una buona preparazione del terreno, l’inerbimento, la fertilità biologica e fisica, la porosità, la struttura glomerulare e la presenza di vita organica permettono di ottenere interessanti produzioni biologiche e biodinamiche anche con l’uva da tavola”.