Biologico

Biologico: si vende meno e costa di più produrlo

Le aziende del progetto Made in Nature sono preoccupate. Le famiglie hanno ridotto da 20 a 17 kg l’acquisto medio

Si vende meno, costa di più produrlo, ci sono problemi con il mercato tedesco e il mondo industriale.  Non è finita qui: si nutre pure il timore che venga ridotto lo spazio espositivo nella Gdo perché il biologico costa.  Sono tutti fattori che messi insieme riducono la redditività degli imprenditori agricoli che hanno scelto il bio. A questo punto si chiude bottega e si riconvertono al convenzionale  le superfici? Assolutamente no. Si spera che la congiuntura negativa venga superata al più presto, ma soprattutto si fa affidamento sull’alto livello  di penetrazione con la gran parte delle famiglie italiane che acquistano biologico. I nuclei familiari  hanno abbassato il volume della spesa: da 20 a 17 chili. Questa la media annuale degli acquisti che graziea più comunicazione e informazione si vogliono riportare a livelli più alti.

I numeri  di Cso Italy: “Calo ma meno del convenzionale”

Elisa Macchi,  direttore di Cso Italy, ha offerto i numeri e introdotto  il suo intervento, alla conferenza  stampa digitale di Made in Nature, con una chiara sintesi: “Le cose per l’ortofrutta non vanno bene,  diminuiscono le quantità, aumenta il valore con una spesa  sostanzialmente stabile. Il biologico nel triennio  2017/2019  ha registrato consumi costanti. Un primo calo si è avvertito nel 2020/2021 ma la riduzione  è del 1% contro il 9% del  convenzionale. In termini di spesa per i prodotti bio emerge anche un aumento del 1%. Rispetto al 2017 cresce poco, ma cresce”.  C’è da capire la prospettiva.

Si vende più frutta ma è in calo rispetto agli ortaggi

La frutta vale dieci volte di più  in termini di tonnellate vendute rispetto agli ortaggi ma è in calo mentre i secondi sono in crescita. Questi i numeri: 301.000  tonnellate di frutta  venduti nel 2021 ma in calo del 6% nel periodo 2017/2021 anche se aumenta con la stessa percentuale sul valore.

Gli ortaggi valgono molto meno: 37.900 le tonnellate vendute l’anno scorso, in aumento di quasi il 60% nel periodo 2017/2021  mentre a valore la crescita è quasi del 40%. Ma è calato il prezzo medio. Al contrario della frutta che vede un rialzo sia nel confronto 2020/2021  (2%) e nel periodo 2017/2021. (14%).

Mele, arance e banane la frutta bio più venduta, per gli ortaggi  patate in vetta

Le varietà di frutta più vendute sono mele (11%), arance (11%),  banane (11%), limoni (9%), fragole (7%) che rappresentano quasi  il 50% di acquisto di frutta biologica.  Se il 20% dei limoni biologici acquistato è biologico  per  le mele, la frutta più venduta, la percentuale scende sotto il 10%.

Sul fronte ortaggi le patate arrivano a valere quasi il 40%  del totale seguite da carote (25%), pomodori (9%), cipolle (7%) e zucchine (6%); ma solo le carote superano il 5% nella proporzione con  il convenzionale. Il canale di vendita più importante è la Gdo che vale  il 60% contro l’11% del  discount, il responsabile acquisto in famiglia per il biologico ha più di 65  ma soprattutto è diminuito l’acquisto medio annuo  da 20 a 17 kg l’anno per famiglia. Questo  il problema.

Ceradini: “Puntiamo sulla comunicazione”. Pari: “Qualifichiamo l’offerta”

Massimo Ceradini, Ad di Ceradini Group specializzati sui kiwi biologici, ha presentato la sua ricetta: “E’ necessaria una forte comunicazione per stimolare il consumatore e soprattutto  fargli capire  il perché deve pagare qualcosa in più visto che il bio ha un prezzo  maggiore rispetto al convenzionale”. Avanti tutta nonostante l’inflazione che spinge i consumi verso un paniere a meno valore aggiunto.  “Noi cerchiamo di orientarci sempre più sulla sostenibilità  e speriamo che i consumi tornino a crescere”.

Paolo Pari, direttore di Almaverde Bio, sottolinea che il biologico è “elemento differenziato e strategico nell’offerta mass market, abbiamo penetrazione al 80% e incidenza a 10%.  Bisogna lavorare con chi porta il prodotto al consumatore finale e superare la frammentazione dell’offerta che il biologico qualifica”.

Vincenzo Finelli di Orogel punta sulla Gdo: “Si conservino gli spazi”

Il direttore di Orogel fresco Vincenzo Finelli lancia l’allarme: “Bisogna far continuare a produrre in biologico perché si riducono le vendite, la penetrazione è stabile ma si è abbassato il  volume medio di acquisto  per famiglia. Negli anni si è cresciuti molto nella Gdo che oggi registra una  contrazione legata alla riduzione  della capacità di spesa dei suoi clienti. Passa l’idea che i prodotti che costano molto sono quelli da tagliare, ma non è una dinamica  scontata quella del consumatore con minor disponibilità che  comprerà meno prodotti costosi. Ci auguriamo che la Gdo  conservi gli spazi visto che ci vendiamo oltre il 50% del biologico”.

Si soffre con l’industria e con il mercato tedesco

Il mondo industriale legato al biologico  “sta vivendo un momento complicato” sottolinea Finelli eppure “l’incidenza dell’industria conta e può rappresentare fino al 50% della produzione, ma se i valori si riducono fino ad un terzo allora la redditività viene intaccata in modo importante”. Un altro problema è legato all’export: “Ci sono problemi con il mercato tedesco“. Vediamo più nel dettaglio: “Bisogna fare i conti con la normativa europea da un lato e con le esigenze dei clienti”.

Vuol dire che si chiedono standard più elevati di quelli previsti per legge. “Abbiamo compromesso alcuni mercati perché sono stati utilizzati i fosfiti. Alcuni clienti non accettano e chiedono criteri più stringenti della normativa Ue. Ci sono alcuni dati di inquinamento che non sono responsabilità dei produttori”.

Non si ritorni alla nicchia

Sono elementi pesanti. “Il problema non è tanto e solo la minor vendita, oggi conta l’aggravio dei costi anche perché lo vendiamo soprattutto confezionato e il prezzo medio si abbassa“. Andiamo verso la fine del biologico? “Assolutamente no, il mercato è interessante. E’ uscito dalla nicchia ma non ci deve tornare, investiamo ancora sul bio ma avremo anni di difficoltà“. Vietato abbattersi, ma le aziende chiedono l’unità di tutto il sistema per preservare e valorizzare un metodo di produzione che porta anche dei benefici ambientali e sanitari fondamentali per la qualità della vita.

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